Migranti, l’Europa si divide in due vertici contrapposti
Il governo gialloverde italiano può essere soddisfatto. Molto probabilmente dal vertice dei capi di Stato e di governo del 28 giugno non uscirà una sola proposta utile all’Italia per la gestione dei migranti, ma in compenso le esternazioni urlate quotidianamente dal ministro degli Interni Salvini hanno contribuito a spaccare l’Unione europea come mai si era visto in precedenza.
Il segno tangibile della crepa sempre più larga che sta dividendo i 28 sono i due prevertici convocati per domani e domenica da gruppi contrapposti di Paesi, ognuno dei quali è impegnato a elaborare proposte che, almeno sulla carta, dovrebbero rappresentare le nuove politiche europee sull’immigrazione. Al primo summit, fissato per domenica a Bruxelles dal presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker e al quale è prevista la partecipazione di dieci Paesi, si è aggiunto ieri quello deciso da Ungheria, Polonia, Cechia e Slovacchia, il gruppo di Visegrad che, con l’Austria, si vedrà oggi a Budapest. Il fronte anti-migranti propone una «rivoluzione copernicana» (copyright del premier austriaco Sebastian Kurz) nella gestione dei migranti. Intanto però, in serata sono uscite nuove anticipazioni di quello che potrebbe essere il documento finale del vertice ufficiale, quello di fine mese, e che oltre alla trasformazione di Frontex in una vera e propria polizia di frontiera, annunciano controlli sui migranti alle stazioni di autobus, treni e aeroporti di tutta Europa allo scopo di individuare e rispedire indietro i profughi che hanno abbandonato il Paese in cui hanno presentato la richiesta di asilo.
Un modo per contrastare i cosiddetti movimenti secondari sui quali in Germania la cancelliera Merkel e il suo ministro degli interni Seehofer litigano fino a rischiare la caduta del governo, e che Bruxelles propone adesso di fermare penalizzando i Paesi di primo arrivo – tra i quali ovviamente l’Italia. E così il premier Giuseppe Conte, che ieri mattina ricevendo il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk a palazzo Chigi gli aveva detto di non voler neanche sentir parlare dei «secondary movements», in serata se li è visti ripiombare pari pari sulla scrivania.
La verità è che non bastano gli attacchi e le minacce di Salvini per aumentare l’autorevolezza dell’Italia in Europa. Anzi, proprio la vicenda dei movimenti secondari dimostra che se i leader europei devono sostenere un governo, la scelta cade su Berlino e non su Roma. Accantonata definitivamente ogni speranza di riformare Dublino, domenica a Bruxelles si discuterà quindi ancora della possibilità di esternalizzare le frontiere dell’Ue. Presenti, oltre all’Italia, anche Belgio, Germania, Olanda, Francia, Spagna, Malta, Grecia e Bulgaria, quest’ultima presidente uscente dell’Ue. L’idea, non nuova, è di creare in Nordafrica campi nei quali raccogliere i migranti dividendoli tra profughi ed economici, per poi raccogliere le richieste di asilo dei primi e rimpatriare i secondi. Un lavoro che dovrebbe svolgersi con il contributo dell’Unhcr e dell’Oim, e accompagnato da programmi per i rimpatri dei migrati irregolari, supporti finanziari e altri incentivi. Ma la cui realizzazione può richiedere tempi anche molto lunghi. Prima occorre infatti individuare i Paesi disponibili a essere trasformati in «piattaforme per gli sbarchi» (la Tunisia, indicata come uno di quelli possibili, ieri ha confermato di non essere disponibile) e poi stipulare gli accordi necessari a far sì che il piano non resti solo sulla carta.
Nel frattempo non è che dall’altra parte, quella dei puri e duri di Visegrad più l’Austria, si brilli per fantasia. Salvo sorprese l’annunciata «rivoluzione copernicana» consisterebbe sempre nell’apertura fuori dall’Ue di campi dove raccogliere i migranti ma questa volta nei Balcani, magari facendo leva sulla voglia di questi Paesi di entrare a far parte dell’Unione. Potrebbe consistere in questo la riforma di Dublino annunciata da Salvini per «proteggere le frontiere esterne, senza dividere il problema tra i Paesi europei ma risolvendolo a monte». Anche in questo caso, però, sembra che i conti siano stati fatti senza l’oste. La Macedonia ha infatti già detto di non volere campi profughi nel proprio territorio.
FONTE: Carlo Lania, IL MANIFESTO
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