I porti chiusi ai migranti, oltre 600 migranti, con 123 bambini, in pericolo
Roma È un braccio di ferro con Malta, ma non solo. Perché era facilmente ipotizzabile che la Libia avrebbe allentato i controlli sulle proprie coste agevolando le partenze dei migranti per lanciare un segnale preciso all’Italia. Ma la scelta concordata dal ministro dell’Interno Matteo Salvini e da quello delle Infrastrutture Danilo Toninelli di chiudere i porti italiani alla nave Aquarius, si trasforma in una sfida a tutti gli Stati europei «che non collaborano». È la questione nota da tempo, che il titolare del Viminale decide di far deflagrare nel giorno delle amministrative, nel modo più eclatante e più rischioso. Tra gli oltre 600 migranti a bordo ci sono infatti sette donne incinte, 11 bambini e 123 minori non accompagnati. Dal governo assicurano che «si interverrà per risolvere eventuali situazioni di emergenza», lasciando intendere che se ci fossero persone in difficoltà saranno prelevate con elicotteri o trasferite su imbarcazioni di soccorso. A tarda sera si decide di mandare due motovedette e alcuni medici per l’assistenza . Ma fino a notte non è stata ipotizzata alcuna soluzione. Anche perché deve essere proprio Roma — visto che è stato il centro operativo della Guardia costiera a coordinare le operazioni di soccorso in mare — a trattare con gli Stati esteri per individuare un approdo alternativo. E dunque come primo passo si è stabilito di far rimanere la nave in acque maltesi fino a quando le autorità de La Valletta non formalizzeranno il rifiuto all’approdo. È un modo per prendere tempo. Ma se nessuno darà il via libera è probabile che siano gli stessi responsabili di Aquarius a decidere di riprendere il viaggio.
Lo stato di necessità
A quel punto entreranno nelle nostre acque e invocheranno lo «stato di necessità» per riuscire ad attraccare in uno scalo italiano. Messina, Napoli, potrebbero anche essere dirottati in un porto più lontano. Accadde anche nel 2004 quando alla Cap Anamur, nave di un’organizzazione umanitaria tedesca che aveva preso a bordo 39 migranti, fu vietato di entrare in Italia. Dopo tre settimane di negoziato forzò il blocco e riuscì a farsi autorizzare per esigenze umanitarie. Se il copione si ripeterà con l’Aquarius, Salvini sembra comunque determinato a rivendicare politicamente di aver imboccato la strada della fermezza.
Lo farà in Italia e lo farà soprattutto all’estero. Perché per fermare l’attività delle navi impegnate nel Mediterraneo l’intenzione è di intervenire puntando sulla nazionalità delle Ong di riferimento e sulla bandiera battuta. Si tratta infatti di organizzazioni spagnole, tedesche, olandesi, francesi ed è proprio a quei governi che Salvini vuole rivolgersi per far passare il principio che tocca a loro farsi carico dei migranti soccorsi. Denunciando la validità del codice di comportamento varato dal suo predecessore Marco Minniti e approvato anche dalla Ue che — come ha già anticipato — «non consente di intervenire in maniera efficace».
L’accordo con la Libia
Il problema sono però le conseguenze che tutto questo avrà, soprattutto in un momento delicato come l’estate quando gli sbarchi aumentano inevitabilmente. E il rischio naufragi diventa altissimo. Sin dal suo ingresso al Viminale Salvini aveva lanciato proclami annunciando migliaia di rimpatri e trasferimenti degli irregolari nei Cie. Provvedimenti che — come gli è stato subito spiegato — non è possibile prendere visto che pochissimi Stati hanno accordi con l’Italia per la riammissione e anche la permanenza nei Centri può durare fino a un massimo di tre mesi. Il vero nodo da sciogliere riguarda dunque l’intesa con la Libia, quell’accordo che il governo Gentiloni ha siglato concedendo aiuti economici e logistici, oltre a piani di sviluppo in numerose città, in cambio di un controllo più serrato sul territorio.
Salvini dovrà decidere con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e con l’altro vicepremier Luigi Di Maio se confermare l’intesa e soprattutto l’investimento economico. Ben sapendo che l’ala più ortodossa del Movimento 5 Stelle contesterà — proprio come accaduto al precedente esecutivo con una parte del Pd, ma anche della sinistra estrema — il mancato rispetto dei diritti umani da parte delle autorità libiche che utilizzano i centri di detenzione per trattenere gli stranieri intenzionati a partire, oppure quelli che vengono ripresi dalle motovedette della guardia costiera locale.
FONTE: Fiorenza Sarzanini, CORRIERE DELLA SERA
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