I clan di scafisti hanno tracciato la nuova rotta africana dalla Tunisia

I clan di scafisti hanno tracciato la nuova rotta africana dalla Tunisia

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È la rotta più battuta da quando l’accordo siglato dal governo italiano con le autorità libiche ha limitato le partenze da spiagge e porti a nord di Tripoli. Perché alcune organizzazioni di trafficanti hanno spostato da tempo l’area di influenza e adesso numerosi viaggi vengono organizzati dalla Tunisia proprio per evitare i controlli. Nelle ultime settimane sono arrivate numerose notizie di piccole imbarcazioni naufragate, proprio come accaduto ieri, ma anche di gommoni e pescherecci che sono riusciti a salpare e poi sono stati soccorsi in mare dalle navi delle organizzazioni non governative. I numeri confermano quella tendenza, emersa già lo scorso anno, e dimostrano che la rotta è cambiata perché gli scafisti seguono il percorso che dalla Tunisia porta verso la Sicilia.

Gli sbarchi

Nei primi sei mesi del 2018 sono sbarcati 13.430 stranieri, con una diminuzione rispetto allo scorso anno che arriva quasi all’85 per cento. Di questi, 9.214 provenivano dalla Libia. Ma tenendo conto che al momento dell’approdo ben 2.789 hanno dichiarato di essere tunisini, è facile comprendere che proprio da quel Paese erano salpati portando anche persone che evidentemente avevano scelto proprio quei luoghi per mettersi in viaggio verso l’Europa.

Del resto già nel 2017 il flusso aveva superato quello proveniente dalla Libia facendo arrivare nel nostro Paese più di 6.000 tunisini. Una situazione denunciata pure da Frontex con il direttore Fabrice Leggeri che appena un mese fa aveva sottolineato come «la Tunisia rappresenta il 20% cento delle partenze verso l’Italia, Paese che “allo stato attuale è ancora il primo nell’Ue per numero di arrivi».

I gommoni

La caratteristica di questa rotta è soprattutto nella «qualità» dei viaggi. A differenza delle partenze organizzate in Libia, molto spesso su imbarcazioni di fortuna che venivano soccorse a poche miglia dalla costa, i trafficanti tunisini possono contare nella maggior parte dei casi su natanti migliori e dunque su compensi più alti. Nel marzo scorso i magistrati di Palermo hanno disposto il fermo di 13 persone. Nel provvedimento veniva sottolineato come «l’associazione, capeggiata da pericolosi pregiudicati tunisini, operava prevalentemente mediante trasporti veloci, per i quali utilizzava gommoni carenati con potenti motori fuoribordo ed esperti scafisti, nel braccio di mare tra la provincia tunisina di Nabeul e quella di Trapani, consentendo agli immigrati clandestini di raggiungere, in poco meno di 4 ore di navigazione, le coste italiane. Ogni viaggio, per il quale venivano imbarcate dalle 10 alle 15 persone, con costi pro capite tra i 3.000 e i 5.000 euro a testa, prevedeva anche il trasporto di sigarette di contrabbando, destinate al mercato nero italiano ed in particolare a quello palermitano».

L’indagine

La Procura di Sfax, in Tunisia, ha aperto un’indagine sul naufragio che ieri ha provocato 47 vittime. L’annuncio dell’inchiesta mira evidentemente a lanciare un segnale all’Italia visto che poi le autorità fanno filtrare — attraverso fonti anonime del ministero degli Affari sociali intervistate dal giornale locale Le Quotidien — «l’apprensione per le prossime mosse del nuovo governo italiano, perché ci si chiede quale sarà la sorte dei circa 40 mila tunisini irregolari che si trovano in Italia se il ministro dell’Interno Matteo Salvini decidesse di procedere ad un rimpatrio di massa. Anche perché non abbiamo un piano preciso per far fronte ad un rimpatrio massiccio dei nostri emigrati». E forse sarà proprio Tunisi la prima tappa del giro di incontri che Salvini ha annunciato di voler fare.

FONTE: Fiorenza Sarzanini, CORRIERE DELLA SERA



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