Dopo il linciaggio mediatico, licenziata a Torino la maestra Lavinia Cassaro
Il linciaggio mediatico e sui social network, le indagini e, ieri, il licenziamento dalla scuola. È l’esito della persecuzione che ha colpito la docente torinese Lavinia Flavia Cassaro, filmata dalle telecamere di Matrix mentre inveiva contro le forze dell’ordine a seguito di una carica contro una manifestazione contro un comizio di Casapound in un albergo di Torino il 22 febbraio scorso. L’Ufficio Scolastico Regionale le ha notificato il 7 giugno scorso il provvedimento, con decorrenza primo marzo, quando Cassaro è stata sospesa dall’insegnamento e messa a mezzo stipendio in attesa di giudizio. Per quelle immagini, riprese in una manifestazione dove sono stati usati gas lacrimogeni ed idranti, e non durante l’esercizio delle sue funzioni, la docente è stata inquisita per istigazione a delinquere, oltraggio a pubblico ufficiale e minacce.
Ma è sul lavoro, e nella vita, che Cassaro ha ricevuto il massimo della pena. Nella storia della scuola repubblicana non si ricorda un caso di licenziamento avvenuto per fatti legati alle opinioni politiche, e al modo in cui sono espresse, in un luogo che non è quello del lavoro. È accaduto alla maestra torinese, colpevole di essere stata ripresa dalle telecamere in una trasmissione dove l’ex presidente del Consiglio, Matteo Renzi disse: «Che schifo, una professoressa che augura la morte ai poliziotti andrebbe licenziata su due piedi».
«PARE EVIDENTE che se Lavinia non fosse stata intercettata da giornalisti affamati di notizie e se, subito dopo, il premier della “Buona scuola” non avesse ceduto alla tentazione di individuare una “cattiva maestra”, il caso Cassaro non ci sarebbe mai stato» ha sottolineato il Coordinatore Nazionale Cub Scuola, Cosimo Scarinzi che si è detto pronto a «dimostrare l’inconsistenza della contestazione di addebito mossa alla maestra».
Un caso di «democrazia autoritaria», «un altro capro espiatorio sull’altare della società dello spettacolo». La Cub ha definito il licenziamento «una sanzione sproporzionata» e continuerà a garantire la tutela legale e quella sindacale alla maestra anche nei prossimi gradi di giudizio. Gianni Tonelli, parlamentare leghista, e già segretario del Sap, all’epoca dei fatti firmatario di una querela nei confronti dell’insegnante, ha definito quello di Cassaro «un atteggiamento deplorevole, che andava severamente punito perché incompatibile con il ruolo di educatore».
L’ASSOCIAZIONE DEI GIURISTI democratici ha invece evidenziato il contenuto politico della vicenda: «Ciò che ha segnato la costituzionalizzazione del rapporto di lavoro è la sua contrattualizzazione – hanno scritto in un comunicato in cui auspicavano la sospensione del provvedimento disciplinare – il lavoratore non vende più se stesso ma solo le attività indicate nel contratto e nell’orario ivi previsto, restando irrilevante la sua vita extra-lavorativa.
«Cassaro, in una situazione di esasperazione, si è lasciata andare a un non condivisibile sfogo rabbioso: se verrà rilevato in ciò una condotta giuridicamente rilevante, ne risponderà all’esito del relativo processo. Licenziarla significherebbe invece solo mediaticamente segnare un’equidistanza tra fascismo e antifascismo, tra chi spara e chi grida a volto scoperto e mani nude, e questo non è accettabile».
A SOSTEGNO DELLA MAESTRA sono intervenuti, tra gli altri, il movimento femminista «Non Una di Meno»: «Attaccando questa maestra si ribadisce un modello di scuola patriarcale e sessista a cui le insegnanti, come missionarie, dovrebbero aderire in ogni momento della propria vita. Siamo solidali con lei e tutte le insegnanti che si vorrebbe ridurre al silenzio sotto il ricatto di un lavoro sottopagato e precario. Questo è un attacco a tutti i lavoratori pubblici. Li vogliono avvisare: quanto fanno nella vita extra-lavorativa peserà nella valutazione del loro lavoro».
FONTE: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO
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