Aboubakar Soumahoro: «In piazza uniti contro il razzismo, nel ricordo di Sacko»

Aboubakar Soumahoro: «In piazza uniti contro il razzismo, nel ricordo di Sacko»

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Un tessuto sociale è stato costruito dalla Turco-Napolitano passando per la Minniti-Orlando fino al contratto di questo governo. Il tessuto legislativo fa cultura. È la legge Bossi-Fini col vincolo lavoro-permesso che impone di accettare lo sfruttamento, creando uno stato di ricattabilità che trascina verso il basso l’insieme dei lavoratori

A distanza di due settimane dal brutale omicidio del sindacalista Usb e bracciante maliano Soumaila Sacko, l’Unione sindacale di base oggi manifesterà per le strade di Roma a sostegno di una piattaforma di lotta alle disuguaglianze sociali e contro i vincoli dell’Unione Europea. «Soumaila non è l’extracomunitario, non è il migrante; è la persona, l’uomo, il lavoratore, il bracciante, il sindacalista Usb. Vorrei dire al ministro Salvini che per noi la pacchia non è mai esistita, per noi esiste il lavoro. Ora la pacchia è finita per lui, perché risponderemo». Le parole del sindacalista italo-ivoriano Aboubakar Soumahoro hanno fatto subito breccia nell’opinione pubblica. «Non voglio parlare di me – spiega Aboubakar – abbiamo un morto ammazzato e stiamo cercando di portare avanti un percorso collettivo. Non ci battiamo per la condizione del singolo ma per quella degli uomini e delle donne nelle campagne, come il nostro compagno Sacko. Soumaila era un lavoratore e, come molti operai invisibili di altri settori, lavorava ben oltre le 6 ore e mezza stabilite dal contratto. Il suo è stato un impegno come sindacalista, all’interno di un progetto collettivo. Questo processo parla di braccianti che, seppur lavorando 12 ore al giorno, non riescono a vedersi riconosciute nella busta paga le giornate di lavoro effettive, impedendogli di poter accedere alla disoccupazione agricola. Dal punto di vista sociale, vivere all’interno di quelle lamiere e baraccopoli fa emergere la violenza e la barbarie costruite nel corso degli anni, anche sul piano legislativo. Questo è il terreno su cui tutti devono misurarsi e lo può fare solo un sindacato che ha come prospettiva la ricomposizione della classe operaia, che esiste, che non è mai scomparsa ma che probabilmente si trova in quei luoghi dove i riflettori non vengono mai accesi finché non viene fucilato un bracciante o finché non muore un lavoratore della logistica durante uno sciopero. Questo sarà il tema che porteremo all’interno della manifestazione di Roma e nell’appuntamento che abbiamo lanciato per il 23 giugno a Reggio Calabria, in ricordo di Soumaila e contro lo sfruttamento».
In una settimana sono stati versati sul conto corrente messo a disposizione dalla Federazione nazionale Usb circa 38mila euro che serviranno a garantire un reddito alla moglie e alla figlia di Soumaila ed a coprire le spese per il rimpatrio della salma e per gli iter giudiziari. Inoltre, come richiesto specificamente e pubblicamente dai familiari, una parte del fondo sarà utilizzata per continuare l’organizzazione e la sindacalizzazione dei braccianti.

Avete avuto dei nuovi contatti con il ministro del Lavoro Luigi Di Maio? Quali priorità dovrebbe affrontare?
Il 7 giugno abbiamo chiesto ufficialmente un incontro al ministro ma al momento non abbiamo avuto alcun riscontro, a parte qualche dichiarazione in tv dove Di Maio ha affermato che incontrerà tutti. La priorità da affrontare è senza dubbio il nodo dello sfruttamento dei braccianti. Quei lavoratori e quelle lavoratrici ricevono una paga giornaliera che varia dai 2,5 ai 3 euro. Alcuni percepiscono una busta paga mensile di 50 euro, altri addirittura vengono pagati in natura, con chili di pasta e litri di olio. Questi temi non possono essere demandati al ministero degli interni, qui si tratta di affrontare i diritti dei lavoratori al di là del colore della pelle o dei documenti che hanno in tasca. Uguale lavoro, uguale salario.C’è chi accusa gli immigrati di accontentarsi di salari molto bassi e conseguentemente di abbassare il livello medio degli stipendi.
Gli immigrati non si accontentano, vengono costretti da una logica e da un ordinamento che impone tutto questo. È il caso ad esempio della legge Bossi-Fini che stabilisce un vincolo obbligatorio tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno. Si impone a questa parte della classe operaia di accettare quelle condizioni di sfruttamento, creando uno stato di vulnerabilità e una ricattabilità tali da trascinare verso il basso l’insieme dei lavoratori.

Gli immigrati possono rappresentare una forza di cambiamento sociale?
Secondo noi il tema è un altro. Quella parte di lavoratori maggiormente esposta alle forme arcaiche di sfruttamento può essere elemento trainante per un cambiamento, senza scendere nella dimensione della provenienza geografica. Il tema è: cosa potrebbe unire le donne e gli uomini che si spaccano la schiena nelle campagne ed i rider (i fattorini ingaggiati dalle piattaforme della gig economy, ndr), impegnati in un percorso di ricomposizione e di lotta? Cosa li può far stare uno accanto all’altro in un corpo fatto di meticciato, dentro una classe operaia che ha una moltitudine di lingue e di colori? La risposta è: la paga. Un lavoratore delle campagne guadagna giornalmente 2,5 o 3 euro, un rider quanto guadagna? La paga oraria è più o meno la stessa 3, massimo 4 euro. È evidente che la ricerca di una paga dignitosa diventa l’elemento comun denominatore intorno al quale riavviare processi di ricomposizione della classe lavoratrice.

In che modo sarebbe possibile arginare le tendenze razziste e xenofobe?
Credo che quello che abbiamo davanti sia un tessuto sociale che è stato costruito nel corso degli anni dalle varie forze politiche che si sono alternate a livello amministrativo e governativo nel parlamento. Ad esempio le leggi Bossi–Fini o Turco–Napolitano, sono due facce della stessa medaglia; lo stesso discorso vale per la Minniti–Orlando e per il contratto che sta alla base di questo governo. Il tessuto legislativo fa cultura.

Non vedi alcuna differenza?
La filosofia di fondo è la stessa. Nel corso degli anni ha preso corpo un’equazione dove migrante è sinonimo di marginalità e profugo è sinonimo di una sottospecie umana, un diverso rispetto agli altri. La disumanizzazione è stata così banalizzata da entrare nel corpo culturale di una parte della popolazione, non solo dal punto di vista legislativo ma anche sociale.

La lotta di classe esiste ancora?
I padroni non l’hanno mai interrotta. Analizzando le condizioni di sfruttamento dei braccianti o dei rider è evidente che c’è una parte che ha saputo adattarsi ai tempi ma che non ha mai arrestato questa lotta. Come Usb non abbiamo mai creduto alle tesi di chi si era illuso sostenendo che non solo non esisteva più la classe operaia, ma che addirittura che non esisteva più il conflitto. I braccianti, i lavoratori della logistica, i precari dimostrano che esiste ancora una classe lavoratrice.

FONTE: Fabrizio Rostelli, IL MANIFESTO



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