La droga e i genitori: “Ho liberato mio figlio Giovanni mandandolo in carcere”
by Maria Novella De Luca | 22 Maggio 2018 16:50
Oggi Giovanni sta bene, finalmente. Lo guardo e mi commuovo: è salvo. Nel mio cuore ringrazio ogni giorno la comunità. Avevo un figlio distrutto dalla cocaina, oggi ho un figlio sano e sereno. Eppure anche adesso che è “pulito”, la preoccupazione non mi lascia mai: basta che Giovanni faccia tardi o veda qualche amico dei tempi “tossici” e il cuore mi si stringe. Cosa starà facendo?
Tornerà?». Filippo ha quasi sessant’anni, è un uomo che si è fatto da sé, determinato e forte, arrivato a Novate Milanese dal Sud con il sogno, realizzato, di dare un futuro alla famiglia. «Comandavo una squadra di vigilantes». Ha la voce che si spezza quando parla di suo figlio Giovanni, 27 anni, ex tossicodipendente, finito nella trappola della droga quando era poco più che adolescente e precipitato sempre più in basso, tra violenza, carcere e follia.
«Oggi Giovanni ha un buon impiego, fa l’autista. Per poter continuare a guidare, visto il suo passato, deve fare ogni 4 mesi il test e dimostrare di essere pulito.
A volte penso che ha scelto di fare l’autista perché così è costretto a stare lontano da droga e alcol. È diventato un uomo. Adesso il suo sogno è quello di trovare l’amore e sposarsi».
Ricorda Filippo: «Per salvarlo mia moglie Rosaria e io eravamo così disperati che l’abbiamo denunciato. Ricordo quel giorno.
Ero al lavoro e lui mi chiamò dicendo che stava distruggendo la casa perché non gli davamo i soldi per la cocaina. Sentivo il rumore di vetri rotti, mobili spaccati, stoviglie in pezzi, mia moglie era lì, ho avuto paura per la sua vita».
Giovanni finisce a San Vittore. «Ha fatto cinque mesi di carcere.
Pericolosi però. il carcere è pieno di spacciatori. Ma in prigione, paradossalmente, è iniziata la sua rinascita, il giudice infatti gli ha imposto gli arresti domiciliari in comunità». Giovanni viene portato nell’Addiction Center di Lacchiarella, specializzato nei policonsumatori e nella disintossicazione da cocaina in particolare, che ormai in molti si iniettano in vena.
Filippo non ha perso l’accento napoletano. Per capire quel figlio così fragile e ribelle si è messo in gioco, ha provato a ripercorrere la strada all’indietro. «Non c’eravamo accorti di niente.
Assurdo. Lui studiava all’istituto tecnico, qui a Novate, aveva gli amici, ci sembrava un ragazzo come tanti, anzi più bello e più forte. Sì ci chiedeva i soldi per uscire, ma quale adolescente non lo fa? Siamo gente semplice, ci siamo spezzati la schiena per non far mancare niente ai nostri figli».
Eravamo ciechi, sì ciechi», ammette sommesso Filippo. Poi, una sera, il mondo crolla. «Ci chiamano dall’ospedale avvertendoci che Giovanni aveva avuto un incidente in motorino.
Arrivati lì scopriamo che non solo si era spaccato la testa, ma era anche positivo alla cannabis, alla cocaina e all’alcol».
Nella vita di Filippo e Rosaria si apre una voragine, un buco nero.
«Giovanni ha iniziato a drogarsi in un periodo in cui lavoravo moltissimo. Avevo il comando della vigilanza e non c’ero mai…
Ho trascurato mio figlio. Non avevo capito la sua fragilità, l’affetto c’era, ma non parlavamo». Giovanni guarisce dalla ferita alla testa ma è dentro il tunnel. Lascia la scuola, si droga ogni giorno, ha una fidanzata tossica come lui, a casa sono botte per i soldi, «dovevamo andare a recuperarlo ovunque perché era troppo fatto per guidare, ricordo il cuore in gola a ogni squillo». Una vita solcata dalla paura. «Temevo che se non aveva la sua dose, Giovanni potesse far del male a sua madre. È un pensiero terribile».
Nel 2012 Giovanni entra in comunità. Un anno e mezzo nell’Addiction center, gestito dal Cnca, (coordinamento comunità di accoglienza) . Affronta la disintossicazione. «All’inizio era ostile. Diceva che stava lì soltanto per evitare il carcere. Poi, invece, grazie alla psicoterapia, ai gruppi, si è addolcito, ha iniziato a guardarsi dentro. Non ringrazierò mai abbastanza Monica, Francesco, gli operatori. L’hanno preso per mano, gli hanno dato delle regole, restituito la speranza. È dura sopportare il dolore di questi ragazzi. Abbiamo visto Giovanni cambiare. Arrivavamo e ci abbracciava, capite?». Filippo si commuove, è l’infinito amore di un padre. «Lontano dalle sostanze e dall’alcool, Giovanni ha ricominciato ad amare la vita. E anche noi abbiamo capito i nostri errori. Il silenzio ad esempio. Il silenzio in famiglia uccide».
Parlate con i vostri figli, dice oggi Giovanni agli altri genitori, «anche quando nell’adolescenza sembra che vi detestino». E poi, nessuna vergogna: «Chiedete aiuto, non abbiate paura. Quando si ha il coraggio di aprire la vita, poi la vita risponde».
Fonte: Maria Novella De Luca, LA REPUBBLICA[1]
Leggi anche: I giovani e la droga. “Per sballarsi basta una paghetta, eroina a cinque euro”[2]
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Endnotes:
LA REPUBBLICA: http://www.repubblica.it/
I giovani e la droga. “Per sballarsi basta una paghetta, eroina a cinque euro”: https://www.dirittiglobali.it/2018/05/i-giovani-e-la-droga-per-sballarsi-basta-una-paghetta-eroina-a-cinque-euro/