Il vicolo cieco della confusa crisi italiana
Il Quirinale come la fossa delle Marianne. Chiunque si avventuri nella formazione di un governo rischia di scomparire. Cottarelli, l’uomo del Fondo, annaspa alla ricerca di generosi tecnici o politici in pensione purché disposti a fare la parte ingrata di chi sale sul palcoscenico per recitare una battuta tra i fischi della platea per poi tornarsene ai propri uffici spernacchiato e senza neanche la ricompensa di una candidatura alle elezioni.
Il presidente incaricato, con il suo troller ieri è tornato da Mattarella, non per consegnare la lista dei ministri ma per chiedere qualche ora supplementare per riuscire nell’impresa di completare l’elenco. La confusione è giunta al punto da rendere credibili anche le voci di una riesumazione in extremis dell’ex incaricato Conte.
Le voci, poi smentite, di una possibile rinuncia all’incarico hanno accelerato la corsa verso il big-bang elettorale tra fine luglio e i primi di agosto, per poi tornare in agenda alla casella di metà settembre. Del resto prima si apriranno le urne e prima si metteranno al riparo «i mutui degli italiani», come direbbe il presidente Mattarella. Anche perché evidentemente non era il professor Savona l’obiettivo del partito dei falchi tedeschi, dal quale continuano ad arrivare bastonate come quella del commissario al bilancio dell’eurozona, Oettinger («i mercati insegneranno agli italiani a votare nel modo giusto»). Con le agenzie di rating che danno una mano preparando l’artiglieria del declassamento del nostro debito mentre lo spread suona la tromba dell’escalation. È già successo e per di più oggi, a differenza del 2011, stiamo per infilarci in una campagna elettorale che, si voti a luglio o a metà settembre, provocherà un quarantotto, diverso e più forte del terremoto del 4 di marzo.
Tutte le principali forze politiche chiedono di andare al voto rapidamente, senza protrarre lo sfinimento di un governo votato da nessuno, neppure dal Pd. Il momento di estrema debolezza, politica e istituzionale, ci rende vulnerabili e esposti a tutti i venti, con i titoli bancari che sprofondano. Situazione ben presente al governatore di Bankitalia in prima linea sul fronte del credito, preoccupato per la «delicatezza e straordinarietà del momento».
C’è chi il voto lo vorrebbe già domani e chi è costretto a fare buon viso. Come il Pd che tenta di rimettere insieme i pezzi del centrosinistra irridendo al ruolo di LeU. Qualcosa si muove, invece, in casa grillina. Il M5S ascolta i consigli di Grillo, mette la sordina all’impeachment, e accoglie l’invito alla moderazione, a non esasperare i toni perché «l’intervento dell’establishment fa parte del gioco». Tanta improvvisa moderazione arriva al punto che Di Maio torna a chiedere l’aiuto di Mattarella per resuscitare il governo giallo-verde. L’esercito del 32% si muove su un terreno accidentato, complicato dal fatto che Salvini è l’unico ad avere due forni caldi e la spinta dei sondaggi. Il regalo di evitargli la prova del governo, avergli dato la patente di grande nemico dell’austerità tedesca lo ha messo ancora più al centro della scena nella parte della vittima dei cosiddetti poteri forti.
Altro che un’arma in più nelle mani della destra, qui, purtroppo, gli stiamo offrendo un arsenale.
FONTE: Norma Rangeri, IL MANIFESTO
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