Le elezioni in America Latina e i falchi di Trump, per l’«Alba» sarà notte fonda

by Roberto Livi | 15 Maggio 2018 10:11

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L’AVANA. Le elezioni che avranno luogo nei prossimi giorni e mesi – Venezuela, Colombia, Messico e Brasile – possono cambiare il volto dell’America latina. In peggio se, come prevedibile, continuerà la politica di aperta di ingerenza e destabilizzazione degli Stati uniti.

L’AGGRESSIVITÀ dell’Amministrazione Trump, preoccupa – e molto – il fronte progressista latinoamericano unito dal 2004 nell’Alba ( Alleanza bolivariana dei popoli di nostra America: Antigua y Barbuda, Bolivia, Cuba, Repubblica Domenicana, Ecuador, Nicaragua, Santa Lucía, San Vicente e Granadine e Venezuela).

Tanto che lo scorso fine settimana i responsabili della diplomazia dei dieci paesi hanno approfittato della riunione all’Avana del Cepal (Commissione economica per l’America latina e i Caraibi) per discutere di questa pericolosa fase politica. Specialmente sull’aggressiva politica degli Usa in Venezuela, per cercare di delegittimare le elezioni presidenziali, e in Nicaragua per destabilizzare il governo sandinista. «Ormai negli Usa vi è un governo di super falchi che ricorda i tempi di Ronald Reagan» – afferma l’analista argentino Atilio Borón. Ma a differenza dell’Amministrazione dell’ex presidente attore, «oggi la Cia ha acquisito una preminenza assai visibile nello staff presidenziale».

NEL PRIMO ANNO della sua presidenza, la tendenza del presidente Trump a destabilizzare quanto aveva costruito in precedenza il presidente Obama era controbilanciata da personaggi più moderati, come l’ex segretario di Stato Rex Tillerson. Oggi, con sinistri personaggi come l’ex capo della Cia, Michael Pompeo, a dirigere il Dipartimento di Stato; John Bolton, il «killer del barrio», alla guida del Consiglio di sicurezza nazionale e il suo discepolo – ex Cia – Juan Cruz alla direzione degli affari dell’emisfero occidentale le peggiori tendenze di Trump non trovano ostacoli, sostiene Esteban Morales, analista cubano autore di libri e pubblicazioni sui rapporti tra Cuba e Usa.

MORALES E ALTRI ANALISTI cubani ritengono che gli «attacchi acustici» di cui sarebbero stati vittime due anni fa all’Avana più di una ventina di diplomatici statunitensi e loro famigliari – oltre a qualche diplomatico canadese – sia stata farina del sacco di Pompeo quando era direttore dell’agenzia di spionaggio. Le accuse della Cia non sono mai state dimostrate – anzi la totalità degli esperti in materia si sono espressi in modo scettico se non dichiarando apertamente che si trattava di una bufala.

LE CONSEGUENZE però sono state pesantissime per Cuba: l’Ambasciata Usa all’Avana, riaperta quattro anni fa per iniziativa di Obana, è di fatto congelata: la grande maggioranza del personale è stato richiamato in patria e nelle sede restano solo dieci diplomatici, dei quali uno solo al Consolato.

I rapporti tra l’isola e la superpotenza del Nord sono ritornati al livello dei tempi della guerra fredda. L’embargo Usa – «inutile e controproducente» secondo Obama- è stato rafforzato . Ancora più aggressivo è l’atteggiamento anticubano di Bolton, che ha accusato l’Avana di produrre armi batteriologiche. L’ex ambasciatore statunitense all’Onu – che però ha più volte insistito sull’inutilità di tale organismo – è stato favorevole all’invasione dell’Iraq.

E ANCHE PER LE ALTRE CRISI ha sempre espresso la sua propensione per una cura drastica: bombe e missili. Così è stato per l’Iraq e la Libia, così – a suo dire – avrebbe dovuto essere per Iran, Corea del Nord e Russia. Naturalmente il «falco» ha appoggiato il ritiro Usa dall’accordo nucleare con Teheran. In questi giorni sta operando per «aumentare la pressione sul (presidente venezuelano) Maduro». Per occuparsi dell’Occidente, Bolton ha scelto Juan Cruz. Anche lui un veterano della Cia. Secondo il vice presidente della Colombia, generale Oscar Naranjo, Cruz ha partecipato « a varie delle più produttive ed efficienti operazioni di intelligence» nel suo paese. Includendo quelle che portarono all’uccisione dei principali leaders della guerrglia delle Farc (Raúl Reyes e el Mono Jojoy). A questi dichiarati «falchi» si aggiunge l’attuale capo della Cia, Gina Haspel, con più di trent’anni di carriera nell’Agenzia e il «merito» di aver diretto una prigione della Cia in Tailandia dove si torturarono alcuni sospetti terroristi di al Qaeda (come il saudita Abu Zubaydah, che fu sottoposto 83 volte al waterboarding e perse un occhio).

Bontà sua, dopo la conferma alla direzione della Cia, Haspel ha promesso che non autorizzerà più torture. Completa il quadro il «recupero» di Oliver North l’ex colonnello dei marines che negli anni 80 del secolo scorso diresse- per conto del presidente Reagan- l’infame operazione Iran-Contras: vendita illegale di armi all’Iran per finanziare le bande armate dei Contras che attaccavano il Nicaragua sandinista. North non finì in galera, protetto dalla Casa bianca. Giovedì scorso è stato eletto presidente della Nra, l’Associazione nazionale delle armi, la lobby più potente degli Usa che difende la libera vendita delle armi. E che sostiene Trump.

FONTE: Roberto Livi, IL MANIFESTO[1]

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  1. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

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