Combattiamo la povertà, non le persone povere

by ***, il manifesto | 15 Maggio 2018 9:38

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Il consiglio comunale di Trento si accinge ad approvare una delibera che comporterà la modifica del regolamento di polizia municipale, estendendo a praticamente tutta la città, certamente all’intero centro storico, il divieto di effettuare questua, comportamento indicato nel testo proposto dal sindaco alla commissione capigruppo con il termine, ad accezione negativa, di accattonaggio.

Il divieto di chiedere elemosina, se approvato, sarà esteso alle zone vicine a: uffici pubblici, scuole, ospedali, residenze per anziani, luoghi di culto o destinati alla memoria dei defunti, pubblici esercizi, esercizi commerciali o artigianali, fiere e mercati. Ma anche in prossimità di intersezioni stradali, semaforiche o meno, o dove la questua sia di intralcio alla circolazione dei veicoli.

Ancora, all’interno o in corrispondenza degli accessi alle zone adibite a parcheggio.

La proposta di delibera non tiene evidentemente conto delle sentenze n. 519 del 1995 e n.115 del 2011 della Corte Costituzionale per cui la mendicità non può essere oggetto di azioni repressive, se si limita alla semplice richiesta d’aiuto, e neanche dell’esito di un ricorso straordinario presentato al presidente della Repubblica e accolto con sentenza del 9 novembre 2016, che rende illegittima un’ordinanza del sindaco di Molinello (Bo) che prevedeva analoghi provvedimenti.

Ciò che prevale, infatti, è un’ideologia del decoro urbano secondo cui le persone povere, le persone che si prostituiscono, fanno parte della categoria degrado e vanno allontanate dallo sguardo di noi, persone benestanti, che non siamo capaci di integrare nel tessuto sociale, lavorativo, economico chi vive o si trova in condizioni di svantaggio socio economico.

Se poi queste persone sono immigrate o, peggio, immigrate e “clandestine”, allora il livello di degrado urbano che rappresenterebbero e contro cui si stanno adottando provvedimenti sempre più disumani e solo repressivi, si alza notevolmente.

Lo stesso utilizzo della parola accattonaggio al posto di elemosina o questua ha il suo peso nel nascondere quella che è ormai a tutti gli effetti una guerra dichiarata alla solidarietà spontanea non istituzionalizzata, non di sistema.

Il tutto è accompagnato dalla retorica della lotta al racket dell’accattonaggio, che evidentemente prevede, per chi vi si appella, che a pagare siano le vittime del racket, non i loro sfruttatori.

La proposta di delibera è stata, di fatto, costruita inseguendo gli umori predominanti, adeguatamente orientati dalla propaganda antidegrado dominante ormai da mesi. Non si fa riferimento a dati, a studi del fenomeno in città (studi che non esistono allo stato attuale) o a rapporti delle forze dell’ordine.

E quando si oltrepassa quel confine che separa l’umanità dalla disumanità, si perde anche la capacità di comprendere la gravità del negare il diritto sacrosanto che ogni persona ha di chiedere aiuto se si trova in condizioni di bisogno.

Si perde il buon senso fino al punto di non rendersi conto dell’assurdità di far pagare una sanzione amministrativa a chi chiede l’elemosina. Si perde la capacità di guardare lontano, non cogliendo la ricaduta negativa che ha sulla percezione della gente il porre l’etichetta di persona che compie un illecito, tant’è che si prevedono divieto e sanzione, a chi semplicemente chiede l’elemosina.

Etichettare come persona che compie un illecito chi mendica favorisce infatti la diffusione dell’idea che la povertà sia reato da punire con sanzioni e divieti e, nella percezione comune, le persone povere diventano soggetti fastidiosi, molesti, non idonei alla rappresentazione di città cartolina che le recenti normative nazionali e locali sostengono.

Chiediamo al sindaco Alessandro Andreatta, alla giunta, ai consiglieri e alle consigliere del comune di Trento di fermarsi, di non proseguire nella modifica del regolamento di polizia municipale, che già prevede peraltro alcune zone dove è applicato il divieto di questua.

Chiediamo a chi ha potere decisionale di non farlo sulla pelle di persone di cui si ignora la storia che le conduce a elemosinare, sapendo che sicuramente tra loro c’è anche chi fa della questua un mestiere, chi è vittima del racket.

Ma non è con politiche securitarie e repressive, che colpiscono le vittime, che si risolvono problemi sociali spesso da noi causati attraverso scelte politiche populiste e neoliberiste.

La lotta alla povertà richiede coraggio, anche il coraggio di rendersi impopolari. Per la lotta ai poveri è sufficiente un po’ di vigliaccheria e quella, chi più chi meno, l’abbiamo tutte e tutti al bisogno.

Abbiate quindi il coraggio di restare umani in una fase storico politica in cui, ci rendiamo conto, è molto difficile farlo. Fermatevi!

* * * Antonia Romano, consigliera comunale di Trento, Erri De Luca, scrittore, Moni Ovadia, attore, Lvio Pepino, magistrato, Riccardo Petrella, economista politico, Barbara Spinelli, parlamentare europea, Padre Alex Zanotelli, missionario comboniano, Giuseppe De Marzo, responsabile politiche sociali di Libera, Daniela Padoan, scrittrice gruppo GUE/NGL, Guido Viale, presidente Osservatorio Solidarietà, Giuliana Beltrame, sociologa, Valentina Benvenuti, Marianna Cassetti, architetta, Antenne Migranti, Collettivo Mamadou di Bolzano, Associazione Per un’Europa dei Popoli di Castrovillari, Centro sociale Bruno di Trento, Trama di terre di Imola, Ex Opg occupato Je so pazzo di Napoli, Rete di solidarietà popolare di Napoli, Associazione Nazione Rom, Associazione Arco Bene Comune, Rete delle città in Comune

FONTE: IL MANIFESTO[1]

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