Scontri sul Golan occupato, le monarchie del Golfo appoggiano Israele
Iran/Siria/Israele. Netanyahu accusa l’Iran di aver passato la “linea rossa” lanciando mercoledì notte dal territorio siriano missili contro il Golan. Tehran nega ogni responsabilità
GERUSALEMME. «Fino a quando l’Iran continuerà con l’attuale status quo delle sue forze e i missili che operano nella regione, ogni paese – compreso Israele – ha il diritto di difendersi eliminando la fonte di pericolo». Questo tweet non è di @potus, il presidente degli Stati uniti Trump che adora i micromessaggi per annunciare alcune delle sue decisioni più importanti. A postarlo è stato ieri il ministro degli esteri del Bahrain Khalid bin Ahmed Al Khalifa, a commento del pesante bombardamento israeliano in Siria di mercoledì notte contro presunte basi iraniane. Con poche parole ha dimostrato quanto si sia capovolto il quadro delle alleanze in Medio oriente. Per le monarchie sunnite del Golfo colpire e se possibile annientare l’Iran e i suoi alleati è un imperativo. E che a farlo sia l’ormai ex nemico Israele non genera più imbarazzi. Presto avverrà tutto alla luce del sole. Minimizzare il passo del Bahrain sarebbe un grave errore. Dietro questo minuscolo arcipelago del Golfo c’è l’Arabia saudita del principe ereditario Mohammed bin Salman che, come Israele, ha applaudito con soddisfazione alla decisione di Donald Trump di far uscire gli Usa dall’accordo internazionale sul nucleare iraniano. Non sorprende che ieri il ministro della difesa israeliano Lieberman abbia chiesto agli Stati del Golfo di «uscire subito allo scoperto e di iniziare a parlare apertamente» per formare «un asse dei moderati contro la minaccia iraniana».
Lieberman ha esaltato come una vittoria eccezionale l’offensiva aerea e missilistica lanciata da Israele sulla Siria, la più vasta dalla guerra del 1973. Offensiva che ha descritto come una risposta al lancio dalla Siria di 20 missili terra-terra da parte di unità scelte al Quds della Guardia repubblicana dell’Iran sulle alture del Golan, il territorio che Israele occupa dal 1967 e che si è annesso unilateralmente. Bombardamenti aerei e decine missili, sempre secondo la versione di Tel Aviv, che avrebbero distrutto tutte le posizioni iraniane in Siria – radar, posti di osservazione, basi, campi di addestramento, depositi di armi – e causato vittime tra gli iraniani (i morti sarebbero almeno 23, in maggioranza ”stranieri”, secondo fonti dell’opposizione siriana). «Non consentiremo all’Iran di trasformare la Siria in un proprio avamposto militare…Mi auguro che il capitolo sia già chiuso e che ognuno abbia recepito il messaggio», ha aggiunto con tono minaccioso Lieberman. Qualche ora dopo il premier Netanyahu ha accusato l’Iran di aver superato la ”linea rossa”. «La nostra reazione è venuta di conseguenza – ha affermato – Tzhal (le forze armate, ndr) ha condotto un attacco su grande scala contro degli obiettivi iraniani in Siria…Ho inoltrato un messaggio chiaro al regime di Bashar Assad: la nostra operazione è diretta contro obiettivi iraniani in Siria. Ma se l’esercito siriano agirà contro Israele, noi agiremo contro di esso, come è esattamente avvenuto».
La Russia, alleata di Damasco ma che non ostacola in alcun modo i raid israeliani, sostiene che metà di quei missili sono stati abbattuti dalle difese siriana. Mentre l’Iran smentisce qualsiasi responsabilità nell’attacco contro le postazioni militari israeliane sul Golan. «Tehran non ha nulla a che fare con i missili lanciati a Israele dalla Siria nella notte di mercoledì», ha affermato il vice responsabile del Consiglio supremo della sicurezza nazionale iraniano, Abu al-Fadl Hassan al-Baiji. Da parte sua la Siria ammette che gli attacchi israeliani hanno colpito battaglioni di difesa aerea, radar e un deposito di munizioni ma insiste sul coinvolgimento esclusivo delle sue forze militari. E sottolinea che l’escalation ha riguardato il Golan occupato da Israele. «La difesa antiaerea siriana è rimasta in azione per alcune ore e si sono sentite forti esplosioni», raccontava ieri al manifesto Anna Costa, una cooperante italiana della Ong di Bologna GVC, da due settimane a Damasco «la popolazione comunque è tranquilla e non sembra temere il possibile inizio di una guerra (con Israele). D’altronde non dimentichiamo che questo Paese da anni fa già i conti con la guerra al suo interno».
Di fronte alla valanga di dichiarazioni e proclami delle parti coinvolte non è facile stabilire in modo defintivo chi siano i vincitori e i vinti degli scontri dell’altra notte. Israele però ha sicuramente vinto un altra battaglia della guerra politica e diplomatica che sta facendo a Tehran, diffondendo l’iranofobia, e non solo nei Paesi occidentali, con l’appoggio dei sauditi e delle monarchie del Golfo. «La comunità internazionale deve impedire alla forza al-Quds iraniana di trincerarsi in Siria. I tentacoli del diavolo vanno tagliati prima che si espandano qui e altrove» ha detto. Netanyahu è deciso a sfruttare in pieno l’appoggio totale che garantisce Donald Trump alle sue politiche. Ieri anche i leader europei, da Emmanuel Macron ad Angela Merkel, che pure non hanno digerito l’uscita degli Usa dall’accordo sul nucleare iraniano, erano dalla sua parte, impegnati a condannare Tehran e a dispensare scontati appelli alla moderazione che certo non basteranno ad evitare la nuova guerra. A Tel Aviv, Tehran, Riyadh, Damasco e Beirut sanno che la resa dei conti arriverà, presto o tardi. L’altra notte ne abbiamo avuto solo un assaggio.
FONTE: Michele Giorgio, IL MANIFESTO
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