Vicenda Telecom: un capitalismo rapace, povero di visioni strategiche

by Vincenzo Comito | 6 Maggio 2018 9:40

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Vivendi di Bolloré è un gruppo familiare europeo d’assalto, con forti elementi di neocolonialismo, che dà fastidio a Berlusconi in Mediaset

Dunque il fondo Eliott è uscito vincitore, sia pure di stretta misura e almeno per il momento, nella sua contesa con la Vivendi di Vincent Bollorè per la conquista del comando in Telecom Italia; e questo con l’appoggio decisivo della Cassa depositi e prestiti.

Nella vicenda si sono scontrate due forme di capitalismo tra le più deteriori. Da una parte, un gruppo familiare europeo d’assalto, per di più con forti elementi di neocolonialismo, ma concentrato su attività di tipo industriale; dall’altra, il fondo Elliott di Paul Singer, il più temibile dei gruppi avvoltoio statunitensi, che, tra l’altro, non ha esitato a dissanguare con le sue manovre le finanze di alcuni paesi in via di sviluppo, in particolare l’Argentina, con una vicenda in cui è stato decisivo l’intervento “extraterritoriale” della giustizia americana. Così magari fra qualche tempo a dettar legge su Telecom Italia sarà un giudice di El Paso.

Il fatto che la nostra Cdp si sia schierata con Singer, portando da noi un attore di cui sarà poi molto difficile liberarsi, sembra potersi spiegare per una buona parte, al di là delle giustificazioni ufficiali, che parlano tra l’altro dello scorporo della rete, con il fatto che Bollorè dava fastidio a Berlusconi, che quindi ha fatto entrare nel gioco, oltre al nostro governo, che gode di tutta la sua fiducia, un suo amico americano.E qualcuno ha persino scritto che la vicenda è una vittoria del mercato, mentre il ministro Calenda ha dichiarato che ormai la società è una public companySancta simplicitas.

La sconfitta di Bollorè è stata anche determinata dal momento di debolezza in cui egli si trova, essendo sotto l’azione di una importante vicenda giudiziaria in Francia: è accusato di corruzione in relazione a delle concessioni portuali in Africa. Negli ultimi tempi deve poi fronteggiare una sempre più forte concorrenza cinese nello stesso continente, una volta suo orticello quasi esclusivo.

La lista degli eletti nel nuovo consiglio è piena dei soliti nomi delle consorterie manageriali italiane («…Madamina, il catalogo è questo..», con dei numeri in elenco certamente molto più ristretti che nell’opera di Mozart); molti di essi sono poi stati nominati come «indipendenti». Indipendenti da chi? Dagli azionisti? Dai soldi? Dai potenti di turno? Da Berlusconi e da Renzi? Peraltro, …Franza o Spagna…, con quel che segue.

A suo tempo i governi di centro-sinistra, accanto ad alcune azioni positive, non hanno mancato di commettere gravi errori, le cui conseguenze si trascinano ancora oggi. Tra questi, si erge la sciagurata privatizzazione delle aziende pubbliche, che ha tra l’altro portato ad un ulteriore indebolimento della grande impresa nel nostro paese.

La decisione ha lasciato sino ai giorni nostri almeno tre macigni, quali l’Ilva, la Telecom Italia, l’Alitalia. Nel caso della Telecom si è registrata una serie di vicende grottesche, prima l’acquisizione del gruppo da parte di una cordata a guida Fiat, senza sborsare che degli spiccioli; essa ha poi ceduto il passo a quella guidata da Colaninno (visti i brillanti successi dell’operazione, l’imprenditore è stato poi messo alla guida del salvataggio di Alitalia, con il risultato che sappiamo), poi ad un’altra con Tronchetti Provera, che pensava di prendere il posto di Gianni Agnelli alla guida del capitalismo italiano e si è poi ritrovato a fare il faccendiere dei cinesi. Seguiranno altre vicende non meno convulse.

Nel frattempo nessuno pensava alle strategie, alla ricerca e agli investimenti, mentre tutti gonfiavano l’azienda di debiti. E questo mentre era in atto una grande trasformazione nel settore; essa ha ridotto le società di telecomunicazioni sostanzialmente a svolgere attività ancillari, di semplice fornitura di linee di comunicazione ai giganti della rete. Naturalmente qualcuna di essa se l’è peraltro cavata molto meglio della nostra.

Ora la Elliott spingerà per fare cassa al massimo, vendendo quello che è possibile, distribuendo dividendi a tutta forza, magari tagliando ancora sugli investimenti e sull’occupazione. Si attende ora, forse invano, che qualcuno ponga mano ad una strategia industriale reale per il gruppo, strategia che non si limiti al pur necessario scorporo della rete, ma punti allo sviluppo.

FONTE: Vincenzo Comito, IL MANIFESTO[1]

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  1. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

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