by Rachele Gonnelli | 3 Maggio 2018 9:58
Ciò che è successo ieri mattina in un quartiere semicentrale di Tripoli, al netto della strage – almeno 16 morti e 19 feriti, sempre che i sanitari siano riusciti a ricomporre i cadaveri sparsi anche sugli alberi -, è stato un attacco preventivo dei miliziani jihadisti legati probabilmente all’Isis.
UNA AGGRESSIONE al processo di riconciliazione nazionale per altro ancora in fase iniziale e stentorea. Un commando di tre uomini ha assaltato il quartier generale dell’Agenzia Onu che si occupa dei rifugiati, l’Unhcr. L’obiettivo vero era però insieme più preciso e più politico. Nello stesso compound infatti ha trovato sede anche la Commissione elettorale nazionale che in queste ultime settimane stava accelerando le procedure di registrazione degli elettori libici per le elezioni generali ancora non fissate ma che si vorrebbero far svolgere entro la fine dell’anno.
Le elezioni, e l’eventuale referendum popolare su una nuova Costituzione ancora in lenta e problematica fase di elaborazione, sono da tutti gli attori in gioco considerate il tassello finale per ricomporre il puzzle libico andato in frantumi dopo l’intervento militare occidentale contro il Colonnello Gheddafi. Dopo sette anni di guerra civile di tutti contro tutti, negli ultimi giorni significativi passi in avanti venivano segnalati da più parti in direzione di una maggiore distensione politica. La stessa Lady Pesc Federica Mogherini il primo maggio, a latere della riunione del Quartetto di sostegno alla Libia al Cairo, anche se con prudenza, si era lasciata andare a esprimere un timido ottimismo, parlando di «qualche fragile progresso, anche se limitato ma da incoraggiare» nella pacificazione della Libia. Un passettino in avanti è stato soprattutto l’incontro, in Marocco, lo scorso 23 aprile, tra i rappresentanti dei due parlamenti rivali – quello di Tripoli e quello di Tobruk – per cercare di mettere a punto un’agenda di riforme e amnistia.
È IN QUESTO CLIMA che proprio ieri il ministro degli Interni italiano, Marco Minniti, portabandiera degli accordi in Libia per sbarrare la strada ai flussi migratori, è sbarcato a Tripoli per un rendez-vous con il suo principale sponsor locale, il primo ministro di Tripoli Fayez Serraj. A poche ore dal suo atterraggio all’aeroporto internazionale Mitiga della capitale, nella zona ovest della città i tre miliziani neri hanno preso d’assalto la porta d’ingresso del compound dell’Unhcr ingaggiando una violenta sparatoria con gli agenti addetti alla sorveglianza. Gli aggressori hanno avuto la meglio sulle guardie e sono penetrati all’interno dove – non si sa ancora se tutti e tre o soltanto due – si sono fatti esplodere. Dalle esplosioni si è propagato un vasto incendio che ha praticamente distrutto l’intero edificio.
I VIDEO E LE FOTO mostrano un denso fumo nero che come una nuvola funerea avvolge l’intera zona di Ghut al Shaal. Alcuni membri dello staff dell’Unhcr citati in forma anonima dalla testata online Libya Express, alla vista delle immagini, hanno reagito dicendo: «Mio Dio, hanno bruciato proprio i locali della sezione dati per le elezioni». Ma le autorità tripoline, in particolare il capo della Commissione elettorale nazionale, Imad Sayeh, ha subito smentito questa voce. «Tutti i dati riservati degli elettori sono salvi, non sono stati manomessi e la Commissione ha ancora la forza per organizzare le votazioni», ha detto.
NEL FRATTEMPO SONO ARRIVATI attestati di condoglianza e solidarietà «contro il vile atto terroristico». Non soltanto dall’ ambasciata d’Italia, da Stati Uniti, Gran Bretagna, Egitto. Le stesse, identiche parole per commentare l’attacco sono state usate sia dal ministero di Tripoli sia dal portavoce del generale Haftar – lui, dato per morto e poi per moribondo a Parigi, solo pochi giorni fa pare sia risorto, fotografato mentre fa ritorno a Bengasi si dice ora da una visita al Cairo – e ancora in sua vece parla il suo portavoce, Ahmed al Mismari. La frase comune bolla la strage rivendicata dall’Isis secondo il sito Site come «solo un tentativo disperato del terrorismo di arrestare il processo democratico in Libia».
FONTE: Rachele Gonnelli, IL MANIFESTO[1]
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2018/05/98590/
Copyright ©2024 Diritti Globali unless otherwise noted.