Ludopatie, i fondi ci sono ma sono bloccati: “Mancano i piani”
Pochi, maledetti e con calma. Le persone con problemi seri di gioco d’azzardo in Italia aumentano in modo preoccupante, sono quadruplicate in 10 anni, ma i fondi che dovrebbero servire per curarle sono fermi. È da oltre un anno che le strutture delle Asl che si occupano di dipendenze, i Sert, aspettano di poter usare i finanziamenti stanziati dalla legge di stabilità 2016. Non si tratta di moltissimi soldi, 50 milioni all’anno per tre anni che rispetto a un fondo sanitario annuale di circa 110 miliardi paiono un nulla, ma comunque è qualcosa. I servizi contro le dipendenze soffrono di sotto finanziamenti cronici, 150 milioni sarebbero una boccata d’ossigeno. E poi si tratta di un segnale da parte dello Stato, che gestisce molti giochi: il problema c’è.
Il punto è che quei denari non arrivano. A bloccare tutto sarebbe stata una leggerezza del ministero della Salute, unita al modo in cui sono state organizzate le procedure per gli stanziamenti. Secondo la legge, per ottenere i fondi le Regioni dovevano preparare piani di prevenzione e cura dell’azzardo. Il ministero dopo averli analizzati avrebbe poi dovuto decidere se dare il via allo stanziamento, sentito l’osservatorio “per il contrasto della diffusione del gioco d’azzardo e il fenomeno della dipendenza grave”, che ha potere consultivo. Si tratta di un organismo molto eterogeneo. Dentro ci sono Istituto superiore di sanità, Mef, Guardia di finanza, Regioni, Anci, ma anche associazioni dei consumatori e dei genitori. La cenerentola sono i servizi pubblici e infatti è presente solo un clinico. Anche la composizione così vasta, e poco tecnica, di questo organismo alla fine si è rivelata un limite.
All’inizio del 2017 c’è stato il problema che ha bloccato tutto. All’osservatorio, che doveva finalmente valutare i piani, il ministero non ha dato i testi completi presentati dalle Regioni ma solo delle tabelle riassuntive, una procedura sulla quale solo parte dei membri erano d’accordo. Uno di questi, il Codacons, ha fatto ricorso al Tar che in effetti ha ravvisato un’irregolarità bloccando l’erogazione dei fondi. Alcuni erano addirittura già arrivati alle Regioni, la maggior parte delle quali li ha congelati.
Dopo l’estate scorsa sono stati presentati i nuovi progetti e a novembre l’osservatorio li ha valutati. Quattro Regioni hanno avuto il via libera, due hanno avuto parere negativo e 14 positivo con riserva. Ora, visto che la commissione è un organo consultivo, il ministero avrebbe potuto dare il via libera già a quel punto. Però, probabilmente scottato da quanto successo in precedenza, ha deciso di aspettare. Alle Regioni è stato chiesto di risistemare i piani e presentarli nuovamente all’osservatorio, che si riunirà proprio giovedì prossimo. Se non ci saranno sorprese, sempre dietro l’angolo in questa storia, a metà del 2018 i 50 milioni del fondo 2016 saranno usati. Ci si augura che la stessa trafila non valga per quelli del 2017 e del 2018.
Il ritardo è un elemento costante quando si parla di gioco d’azzardo patologico in Italia. Il riconoscimento ufficiale della malattia, ad esempio, è arrivato solo a inizio 2017, con il suo ingresso nei Lea, i livelli essenziali di assistenza da assicurare a tutti i cittadini. « I rischi per la salute legati al gioco d’azzardo hanno cominciato ad aumentare nei primi anni Duemila. Nel 2004 la Toscana è stata la prima Regione a prendere ufficialmente in carico persone con disturbo da gioco d’azzardo. Ecco, per avere il riconoscimento nei Lea ci sono voluti altri 13 anni». A parlare è Maurizio Fiasco, sociologo che fa parte dell’osservatorio per l’Alea, un’associazione di operatori che si occupano di patologie legate al gioco. « I Lea sono arrivati tardi perché c’è stata una grossa resistenza — spiega — Ora però lo Stato ha riconosciuto che di fronte al boom dell’azzardo di Stato, con 47 nuove tipologie di gioco introdotte in 20 anni, esiste un problema di salute così rilevante che il servizio sanitario è obbligato a predisporre delle cure per le quali ci sarà anche una copertura finanziaria » . Per Fiasco, « tutto questo dovrà avere conseguenze sulle regole del settore. Come con le sigarette bisognerebbe vietare ogni pubblicità e il consumo in determinate condizioni » . Quei 150 milioni da soli quindi non bastano a risolvere il problema.
Fonte: Michele Bocci, LA REPUBBLICA
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