25 aprile a Milano, in ordine sparso per il rito collettivo
MILANO. Nessuno non c’era. Milano come sempre il 25 aprile non si fa mancare niente. C’è il sole, per incanto c’è nell’aria quell’eccitazione un po’ ingenua che sembra di essere al salone del mobile. Tutti contenti di ritrovarsi ma niente aperitivi scemi, va in scena il rito collettivo della confessione laica che una volta all’anno alleggerisce la coscienza di chi in cuor suo si sente di sinistra eppure non riesce a comprendere dove ha sbagliato, cosa non funziona più e perché ogni 25 aprile d’istinto ridiventa tutta un’altra storia. La retorica della memoria condivisa non basta per spiegare il miracolo che sempre si rinnova. Si ritrovano gli amici e le amiche, e questo è già abbastanza, è sempre bello stare insieme anche se forse è meglio non domandarsi cosa ci unisce e cosa ci divide.
Nella manifestazione più politica e popolare della nazione non si parla di politica, anche se il tema è caldo e lacerante. Ognuno con le sue bandiere, decine di cortei nel corteo: i cinque stelle ignorati, il Pd ignorato tranne qualche «venduti» (ma sono anni che questa non è più la loro manifestazione), i centri sociali (con Re-Make sotto sgombero), le associazioni tutte e anche qualche benvenuta new entry (rugbisti anti fascisti, le mischie per mischiarsi), per dire c’è anche il comitato Ucraina anti fascista… e poi un’infinità di comunismi possibili e inimmaginabili. Domina il rosso dove c’è rumore. Tamburi, classici e roba che disconnette padri e figli. Diciamo che, come direbbe un buon allenatore che non c’è, manca solo l’amalgama.
L’unico percorso condiviso lo disegna google maps: Porta Venezia-Duomo, è su quel tracciato che si esibisce una teoria di situazioni allegramente disorientate. Intoppi? Zero. Se non la solita notizia per osservatori pigri: la contestazione alla Brigata ebraica da parte dello spezzone filo-palestinese. San Babila, “attimi” di tensione.
Il sindaco ha dovuto ribadire anche un altro concetto di stretta attualità, confermandosi un battitore libero che non ha paura di mandarla a dire a un partito in disfacimento che negli ultimi anni ne ha azzeccata solo una: sceglierlo come candidato. Che deve fare Renzi? «La mia posizione è chiara, anche se si è usciti sconfitti dalle urne non si può fare gli offesi. Io credo che si debba dialogare con tutti. Non sarà per niente facile che si faccia un governo e che il Pd possa entrarvi. La cosa più sbagliata è che il Pd si metta in un angolo e non voglia dialogare con nessuno. Io credo che il tentativo con i 5 Stelle si debba fare». Ma questa, il 25 aprile, è solo curiosità per addetti ai lavori: se ne riparlerà oggi, 26 aprile, ognuno a casa sua. La sera, la festa è continuata all’Arco della Pace, perché questa è l’unica manifestazione che è un dovere tirare per le lunghe. Che si fa nei prossimi 364 giorni?Là davanti, invece, c’è l’ufficialità che come sempre scappa via per tenere comizi per una piazza Duomo semi vuota e distratta, mentre il resto del corteo si palesa in tutte le sue diversità nelle retrovie come se fosse un mondo a parte, che forse meriterebbe di conquistare le prime file: sono almeno 70 mila persone che vanno e vengono, probabilmente anche di più. Però là davanti c’è un sindaco che pronuncia un ottimo discorso, Beppe Sala, efficienza antifascista, saggio e determinato quanto basta e avanza per non far rimpiangere nessuno. È lui che porta la politica sul palco ma non con un discorso da politicante (al suo fianco ci sono anche Susanna Camusso, don Ciotti e Carla Nespolo, presidente nazionale dell’Anpi). Dice che l’antifascismo è elemento fondante della nostra memoria e che per combattere nuovi fascismi e razzismi serve una «nuova prospettiva di riformismo sociale». Ma la memoria non basta, dice. E qui ha la lucidità di non blaterare di populismi, perché riconosce le “ragioni” che hanno spinto molti a guardare con simpatia a movimenti e idee che in questa piazza non sono ammessi. «La crisi economica è stata un acceleratore potente di queste dinamiche – dice Sala – ed è illusorio pensare di fronteggiarle senza dare risposte tangibili alle persone che vedono erodere costantemente il loro tenore di vita, che vedono minacciata la loro sicurezza da un arretramento costante di diritti e di servizi universali; cittadini che vedono per i loro figli un futuro peggiore di quello di cui hanno potuto godere loro stessi. A questi problemi occorre dare nuove risposte, soprattutto e sempre da sinistra».
FONTE: Luca Fazio, IL MANIFESTO
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