25 aprile. Il razzismo promuove e legittima il fascismo, di cui è parente stretto
Il 25 aprile e il rapporto tra fascismo e razzismo. Non sono la stessa cosa, ma sono parenti stretti. Il razzismo era in auge anche prima dell’avvento del nazifascismo: il colonialismo veniva legittimato con la pretesa superiorità dell’«uomo bianco».
Ma è stato il nazismo, prima, e il fascismo, dopo, indipendentemente uno dall’altro, a fare della “difesa della razza”, poi dell’assoggettamento e infine dello sterminio delle “razze inferiori” le loro bandiere.
OGGI PERÒ QUEL RAPPORTO SI È invertito. Non è il fascismo a promuovere il razzismo. E’ un razzismo ormai diffuso in tutta Europa, e particolarmente virulento in Italia, che coincide con il rigetto e la fobia nei confronti dell’immigrato, del profugo, dello straniero, a dar fiato alla nostalgia di fascismo e nazismo. Per le destre sovraniste e nazionaliste si è rivelato una “gallina dalle uova d’oro”, grazie anche al sostegno di quasi tutti i mass media; per la maggioranza di coloro che lo condividono, anche se non lo praticano, è uno stato d’animo, una risposta “facile” e immediata che “spiega” il peggioramento e la precarietà della propria condizione.
L’establishment è riuscito a scaricare sul capro espiratorio la “colpa” dei danni che l’alta finanza sta inferendo a tutto il resto della popolazione con una crisi che viene presentata ormai come un dato naturale. Ma è sbagliato sostenere, come fanno alcuni, che fascismo e antifascismo sono solo fattori di distrazione di massa, perché il vero fascismo è quello delle politiche imposte dalla finanza globale, per lo più indicate con il termine, del tutto inappropriato, di neoliberismo. Perché, in caso di necessità – per loro – quelle politiche non sono incompatibili con qualche forma di fascismo. Ma è altrettanto sbagliato invocare un fronte comune (o “un governo di salute pubblica”) che faccia argine a fascismo e nazionalismo, senza vedere che a promuoverli è proprio quel razzismo, negato a parole, che ispira le politiche di respingimento, disumanizzazione e sopraffazione di profughi e migranti, condivise dalla maggior parte dei governi e dei partiti.
Luigi Manconi mette in guardia dal chiamare razzista chi nel razzismo sente di star precipitando perché non ha argomenti da contrapporgli, ma vorrebbe evitarlo. Gli argomenti oggi correnti, spesso basati su falsi infami, o nascondendo la realtà, sono solo quelli che promuovono il razzismo: quelli diffusi tutti i giorni capaci di spalancare le porte all’onnipresenza di Salvini e alle ragioni del “così non si può andare avanti”. Mentre a chi, giorno dopo giorno, affronta. in condizioni sempre più precarie, un’ostilità diffusa verso profughi e migranti non viene prestata alcuna attenzione. Non hanno voce nei partiti, dove si assiste a una corsa alla criminalizzazione sia dei profughi che di chi esprime o pratica la solidarietà nei loro confronti.
PER ALCUNI IL RAZZISMO apertamente professato è un modo per recuperare una propria identità, distrutta dalla precarietà, dalla mancanza di prospettive e dall’ignoranza; facile che in queste condizioni si approdi al fascismo. Ma per i più è solo un modo per “sfogare” il proprio malessere; però è un piano inclinato, lungo cui è facile scivolare, ma è sempre più difficile tornare indietro.
In parte lo abbiamo già visto con le politiche messe in atto da Minniti: più morti in mare grazie alla criminalizzazione e all’allontanamento delle navi della solidarietà; più respingimenti – effettuati e rivendicati dalla “guardia costiera” libica con i mezzi forniti dal governo italiano – per riportare i profughi “salvati” in mare alle stesse violenze, torture, ricatti, schiavitù da cui cercavano di fuggire; qualche rimpatrio forzato (altro che 600mila!), fatto a scopo mediatico, perché farli tutti costa troppo e richiederebbe accordi con i paesi di destinazione, anche “oliando” i regimi corrotti da cui quei profughi sono fuggiti.
Respingere non significa solo restituire dei fuggiaschi disperati alle vecchie schiavitù, ma anche esporli al reclutamento delle bande che hanno reso invivibili i loro paesi: così tra pochi anni l’Europa sarà circondata da guerre e bande armate da est a sud. E dopo il Niger forse andremo, non invitati, e in puro stile coloniale, a fare la guerra ai migranti in altri paesi; per ridurre anche loro come sono stati ridotti Libia, Siria, Iraq e Afghanistan, dove una volta messo il piede è sempre più difficile andarsene. Moltiplicando così il flusso di chi fugge. Ma anche gli “stranieri” e i profughi che sono già arrivati negli anni, e che continueranno ad arrivare anche più numerosi in futuro, condannati per legge a essere “clandestini”, o trattati come intrusi anche dove si erano inseriti, o avrebbero potuto inserirsi, costituiranno sempre di più un “problema” per tutti.
Un alibi per imporre a tutti restrizioni e dispotismo: sul lavoro, a scuola, nella spesa pubblica, nella vita quotidiana, sulla possibilità di associarsi e di lottare: ecco da dove nascerà il nuovo fascismo.
AUTORITÀ E GOVERNI DELL’UNIONE europea sono ben contenti che l’Italia adotti politiche più feroci verso i migranti: gli risolve un problema che non sanno e non vogliono affrontare. Ma in questo modo trasformano l’Italia (e la Grecia, quando Erdogan riaprirà le dighe che ha eretto, a pagamento) in quello che è oggi per noi la Libia: un campo di concentramento in cui bloccare – e massacrare – quelli che da Ventimiglia, Como e al Brennero non devono più passare.
Esistono le alternative, ma solo se si guarda lontano, verso tutti i paesi che circondano il Mediterraneo, dal Medio oriente al Sahel. Perché quel flusso oggi inarrestabile si potrà invertire solo se quei profughi verranno accolti, inseriti nel lavoro e in una comunità, messi in condizione di contribuire non solo al Pil e alle casse dello Stato, ma anche alla nostra cultura, alla nostra vita quotidiana, al risanamento ambientale del nostro territorio, al contenimento della catastrofe climatica che li ha costretti a fuggire dal loro. Essere poi messi in condizione di far ritorno, se lo desiderano, nelle loro terre di origine. Se ci adopereremo per liberarle dalle armi che vendiamo, dalla guerra e dalle dittature che sosteniamo, dallo sfruttamento delle loro risorse che arricchiscono solo chi è già molto ricco, dal degrado del loro ambiente di cui siamo in gran parte la causa.
FONTE: Guido Viale, IL MANIFESTO
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