by rosaria amato | 23 Aprile 2018 9:01
Reddito di cittadinanza e salario minimo sono state parole chiave della campagna elettorale, e potrebbero costituire alcuni degli assi portanti dell’alleanza alla base del futuro governo.
Ma il primo è una misura estremamente costosa e di difficile realizzazione: proprio in questi giorni si registra la marcia indietro della Finlandia, che ha deciso di non proseguire con il progetto pilota avviato nel 2017, e che vede coinvolti 2.000 disoccupati. Mentre il salario minimo legale, che in Italia non esiste e che vede la ferma opposizione dei sindacati e di Confindustria, ma in compenso piacerebbe alla maggior parte delle forze politiche in campo, fa consistenti passi in avanti in Europa: nel 2017 infatti è cresciuto in ben 18 dei 22 Paesi nei quali è già stato adottato. Gli aumenti maggiori si registrano nei Paesi in cui è più basso: in Romania in termini reali la crescita è del 50,4%, la più alta, applicata certo a un assegno modesto, 407,3 euro mensili. L’ultimo posto in graduatoria spetta però alla Bulgaria, con 260,8 euro. In cima svetta il Lussemburgo con quasi 2.000 euro, seguito a una certa distanza da Irlanda, Paesi Bassi, Belgio, Francia, Germania e Regno Unito: sono questi i sette Paesi classificati “di livello alto”; in mezzo ci sono Spagna, Slovenia, Malta, Grecia e Portogallo, con un salario minimo compreso tra 900 e 600 euro; seguono i dieci Paesi dell’Europa dell’Est. In nessuno dei 18 Paesi si osservano riduzioni su base annua, anche se la Grecia è l’unico in cui il salario minimo è arretrato ( del 20%) nel confronto con il 2010. I dati emergono da un’indagine appena pubblicata dall’agenzia Ue Eurofound. Gli analisti rilevano come nella maggior parte dei casi si tratti di salari concordati con le parti sociali, una circostanza che potrebbe forse rendere meno diffidenti i sindacati di casa nostra. Nell’annunciare l’accordo sul nuovo modello contrattuale, alla vigilia delle elezioni del 4 marzo, Cgil, Cisl Uil e Confindustria hanno sottolineato come spetti ai contratti collettivi di lavoro, e non a leggi calate dall’alto, la determinazione dei minimi contrattuali. E tuttavia il salario minimo potrebbe pur sempre garantire anche in Italia quel 15- 20% di lavoratori non coperti dalla contrattazione collettiva. Il minimo legale non favorisce la disoccupazione, osservano gli esperti di Eurofound, e se si mantiene al di sotto del salario mediano non ha effetti distorsivi. In Germania per esempio si ferma poco al di sopra del 50%, in Francia poco al di sopra del 60%. Se si va oltre, il rischio è che i datori di lavoro possano cedere alla tentazione di fare maggiore ricorso al lavoro nero. Mentre se scende troppo, potrebbe essere talmente poco appetibile da far preferire un assegno di disoccupazione, nei Paesi in cui questo rappresenti un’opzione valida.
Fonte: rosaria amato, LA REPUBBLICA[1]
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