Fyodor Lukyanov: «Gli americani? Uno sfoggio di forza bruta»
BERLINO «Certo il fatto che l’attacco americano sia stato piuttosto accurato e circoscritto, non abbia colpito nessun obiettivo strategico e soprattutto non abbia toccato alcuna delle strutture militari russe, il che avrebbe costretto Mosca a rispondere, è stato per il Cremlino un mezzo sollievo, se così si può dire. Ma questo non cambia nulla: è stato solo uno sparo nel buio».
Considerato uno dei massimi esperti russi di politica estera, Fyodor Lukyanov è il direttore del Valdai Club, forum di discussione geopolitica, forse il più importante centro di elaborazione strategica del Cremlino, terreno di prova privilegiato delle iniziative di politica estera di Vladimir Putin. Moscovita, cinquantuno anni, Lukyanov dirige anche Russia on Global Affairs , la più autorevole rivista russa di affari internazionali.
In che senso uno sparo nel buio?
«È stato importante per gli Usa lanciare l’attacco, per mostrare che sul piano delle capacità militari possono fare quello che vogliono e nessuno glielo può impedire. Ma qui ci si ferma, perché quei missili non cambiano la situazione siriana e Washington continua a non avere una strategia».
Quindi lei non vede alcuna differenza tra l’attacco dello scorso anno, che non ebbe alcun seguito, e quello dell’altra notte?
«Una differenza c’è. Questa volta i rischi sono più grandi a causa della pessima atmosfera nei rapporti degli Stati Uniti e degli alleati occidentali con Mosca. Un anno fa c’era ancora qualche speranza che fosse possibile prendere decisioni costruttive insieme a Washington. Oggi il clima è pessimo. In alcuni casi la retorica, per fortuna solo quella, è da vigilia di guerra. Ma la stessa discussione su una eventuale rappresaglia russa o sulla possibilità che si arrivi a uno scontro diretto tra Usa e Russia, è il segnale di una escalation pericolosa e di una situazione che potrebbe andare fuori controllo».
Ma anche l’attacco in sé questa volta è stato molto più grande e intenso di quello del 2017.
«È vero. E per Trump è stato anche importante per ricompattare il fronte degli alleati. Ma in termini di danni arrecati ai siriani, è stato forse meno grave di quello dello scorso anno».
Quale impatto avrà in generale sulla guerra in Siria?
«A mio avviso quasi nessuno. Non cambia la situazione militare sul terreno. Inoltre torno alla considerazione iniziale: è impossibile capire quale sia la strategia americana in Siria, ammesso che ce ne sia una. Chi appoggiano? Quali sono i loro obiettivi? Hanno un piano? Cosa intendono fare adesso? Guardi alla dichiarazione fatta meno di una settimana fa da Trump, secondo il quale gli Stati Uniti se ne andranno presto dalla Siria lasciando ad altri il tentativo di risolvere la crisi. Forse andrà proprio così perché non sanno cosa fare. L’attacco è stato solo una dimostrazione di forza bruta».
E cosa farà Putin adesso?
«La Russia continuerà a fare quello che ha fatto finora: sostenere Assad nell’ampliare il suo controllo del territorio e proseguire le iniziative con Iran e Turchia per facilitare una qualche forma di processo di pace, provando a coinvolgere nuovi partner a cominciare dai sauditi».
Il Cremlino darà a Damasco i missili terra-aria S-300, che finora si rifiutava di fornire anche tenendo conto delle pressioni degli occidentali?
«Penso sia molto probabile, come ha fatto capire il generale Sergei Rudskoi. Perché non dovrebbe farlo?».
Ma farà anche pressioni su Assad perché non usi più le armi chimiche?
«Guardi che l’uso delle armi chimiche non lo ha dimostrato nessuno. La nostra posizione è che non crediamo a dichiarazioni pretestuose e prive di pezze d’appoggio. Non è accettabile, lo ha ripetuto il ministro Lavrov, che l’attacco dell’altra notte sia stato lanciato prima ancora che arrivassero gli ispettori internazionali chiamati a verificare se armi chimiche siano state usate o meno. La verità è che gli Stati Uniti e i Paesi occidentali non sono affatto interessati a stabilire cosa sia veramente accaduto».
FONTE: Paolo Valentino, CORRIERE DELLA SERA
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