Marcia del Ritorno a Gaza, di nuovo sangue sul Venerdì delle bandiere

Marcia del Ritorno a Gaza, di nuovo sangue sul Venerdì delle bandiere

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GERUSALEMME. «Vogliamo vivere come tutti gli altri nel mondo» si affannava a spiegare ieri ai ‎giornalisti Omar Hamada, un muratore, «siamo venuti qui per farci vedere dal ‎mondo. Con il ‘venerdì delle bandiere’ vogliamo dire che la vita a Gaza è ‎miserabile». Mentre parlava gruppi di giovani dell’accampamento di al Safieh ‎bruciavano e calpestavano bandiere israeliane e davano alle fiamme pneumatici, ‎come il 6 aprile, sollevando grandi nuvole di fumo denso per coprire la visuale ai ‎tiratori scelti israeliani. In un altro dei cinque accampamenti della “Marcia del ‎Ritorno” cominciata a Gaza il 30 marzo, un manifestante è riuscito ad issare una ‎grande bandiera con i colori della Palestina a 25 metri di altezza proprio davanti alle ‎linee di demarcazione con Israele. Decine di metri più dietro migliaia uomini, ‎donne, bambini osservavano, sventolando bandiere, quanto stava accadendo a ‎ridosso delle linee di demarcazione con Israele o erano impegnati nelle attività ‎sociali previste nei tendoni. Nel campo Malaka i più anziani raccontavano e ‎spiegavano la Nakba, la catastrofe palestinese del 1948, ai bambini esortandoli a ‎non dimenticare i villaggi di origine delle loro famiglie. Ma i più piccoli per ore ‎hanno anche giocato al calcio e assistito a corse di cavalli e cammelli. La Marcia del ‎Ritorno è anche questo.‎

‎ Non per il governo Netanyahu e le forze armate isareliane che ieri hanno ripetuto ‎che la “Marcia del Ritorno” non è resistenza pacifica e popolare ma una iniziativa ‎orchestrata dal movimento islamista Hamas «per compiere attentati terrioristici». E ‎i cecchini che nelle ultime settimane avevano ucciso oltre 30 palestinesi e ferito ‎altre migliaia, ieri non hanno certo smesso di prendere di mira i palestinesi che si ‎avvicinavano, correndo, alle barriere tra Gaza e Israele. Il bilancio di vittime fatto ‎dal ministero della sanità fino a ieri sera parlava di un morto, Islam Herzallah, 28 ‎anni, e quasi mille feriti. Molti sono stati intossicati dai gas lacrimogeni lanciati dai ‎soldati ma tanti altri sono stati colpiti da munizioni vere o ricoperte di gomma. ‎Negli ospedali alcuni sono giunti in condizioni critiche. Tra i feriti 16 paramedici e ‎giornalisti. Le ambulanze hanno fatto la spola per ore tra la fascia orientale di Gaza ‎e gli ospedali dove i medici hanno dovuto fare miracoli di fronte all’alto numero di ‎feriti e cercare di salvare e stabilizzare i più gravi. A nulla è servito l’appello a ‎cessare l’uso della forza lanciato a Israele da Magdalena Mughrabi di Amnesty ‎International. «Nelle ultime due settimane il mondo ha guardato con orrore le forze ‎israeliane – ha denunciato Mughrabi – mentre ricorrevano ad un uso eccessivo e ‎letale della forza contro dimostranti, minorenni inclusi, che invocavano soltanto la ‎fine della politica brutale di Israele verso Gaza». Il Segretario generale dell’Onu, ‎Antonio Guterres, è tornato a chiedere una indagine indipendente sulle uccisioni dei ‎palestinesi.

‎ Il portavoce militare Jonathan Conricus ha descritto un quadro totalmente diverso ‎del “Venerdì delle bandiere”. Ha riferito di lanci di bombe incendiarie e di un ‎ordigno esplosivo, di tentativi di sfondare le barriere e di entrare nel territorio di ‎Israele. Poi ha lanciato un avvertimento al mondo: «Non lasciatevi ingannare dalla ‎cortina fumogena e dai civili. Le cosiddette dimostrazioni non sono null’altro che ‎un altro tentativo di Hamas di terrorizzare Israele». Il premier Netanyahu, con un ‎post su facebook, si è detto «fiero dei cittadini che sono giunti nel Sud di Israele per ‎sostenere i nostri soldati. Questa è la risposta migliore a quanti vorrebbero ‎denigrare i soldati che difendono il nostro Stato». Si è riferito agli israeliani hanno ‎espresso sostegno ai soldati rispondendo al sit-in di qualche giorno fa della sinistra ‎pacifista contro il tiro al piccione dei cecchini verso i manifestanti di Gaza. Anche il ‎ministro della difesa, Avigdor Lieberman, si è congratulato con i militari. «Voglio ‎ringraziare i nostri soldati e gli ufficiali – ha detto – per il loro lavoro da ‎professionisti e per la loro moralità nella protezione del nostro confine». ‎Lieberman ha dato sostegno alla proposta presentata l’11 aprile alla Knesset dal suo ‎collega di partito (Yisrael Beitenu) Robert Ilatov che, se convertita in legge, punirà ‎con la reclusione da cinque a dieci anni che accuseranno l’esercito israeliano di ‎crimini di guerra attraverso la diffusione di video e altri materiali. Ilatov prende di ‎mira in particolare le ong israeliane per i diritti umani B’Tselem, Machsom Watch e ‎Breaking the Silence che definisce anti-israeliane e pro-palestinesi. Proprio ieri ‎Breaking The Silence ha pubblicato la presa di posizione di cinque ex cecchini ‎dell’esercito contro le uccisioni di palestinesi disarmati e che non rappresentavano ‎alcun pericolo reale. ‎

FONTE: Michele Giorgio, IL MANIFESTO



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