by Massimo Franchi | 10 Aprile 2018 9:21
Ieri era il compleanno di Carlo Calenda (compiva 45, auguri). Il ministro uscente dello Sviluppo economico lo ha festeggiato decidendo di dare solo buone notizie, anche se non erano nuove.
Così invece che rispondere ai lavoratori dei villaggi turistici di Valtur che da Milano gli chiedevano aiuto per salvare la loro azienda chiusa dopo solo un anno dall’acquisto dallo speculatore Andrea Bonomi di Investindustrial e con una procedura di licenziamento per 108 persone, ha presieduto due tavoli di crisi: Embraco e Alcoa. In entrambi i casi si è trattato di riunioni interlocutorie prive di novità.
Ma Calenda – aiutato dalla stampa che ha festeggiato il ministro e neo tesserato Pd rilanciando in modo sovraestimato le sue dichiarazioni – ha rilanciato i tre interessamenti per rilevare lo stabilimento di Riva di Chieri (Torino) che dal primo gennaio Embraco chiuderà e il suo vecchio cavallo di dare il 5 per cento delle azioni e un rappresentante nel comitato di sorveglianza ai lavoratori della nuova Alcoa di Portovesme , di proprietà di Sider Alloys, guidata dal manager Giuseppe Mannina, rivenditore di alluminio con sede in Svizzera che su 135 di investimento totale ne metterà di suo solo 23.
La trasformazione dei circa 500 lavoratori rimasti dalla chiusura del 2013 a azionisti è arrivata dopo la conferma del necessario aumento di capitale. «È una prima assoluta in Italia, abbiamo studiato con il professor Nuzzo della Luiss (università di Confindustria, ndr) lo statuto di un’associazione dei lavoratori», ha annunciato Calenda.
I sindacati in verità considerano altre le priorità: «Il problema urgente è quello degli ammortizzatori sociali, che scadono il 30 giugno e questa scadenza pesa su tutto», spiega Gianni Venturi, segretario nazionale Fiom – . Occorre discutere del piano industriale, degli assetti societari e dell’avvio della produzione. Nell’incontro del 3 maggio dovremmo capire di più».
Su Embraco i tre interessamenti ancora in stato embrionale e senza definire quanti lavoratori sarebbero salvati – sono sempre di un gruppo israelo-cinese, una multinazionale giapponese e una italiana (molto probabilmente la Ri-Generation che ripara elettrodomestici). «Ci aspettavamo qualcosa di più specie per l’iter burocratico del fondo anti delocalizzazioni che dovrebbe rendere possibile l’intervento diretto di Invitalia dal primo gennaio 2018», spiega Ugo Bolognesi della Fiom di Torino.
FONTE: Massimo Franchi, IL MANIFESTO[1]
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