by Paolo Salom | 9 Aprile 2018 11:42
Come le vacche sacre dell’India, i burros brasiliani si erano abituati a trotterellare pacifici — e impigriti — lungo le strade e nelle campagne del Nordest dell’immenso Paese sudamericano. Dopo secoli di sfruttamento intensivo come animali da soma, milioni di asinelli, ormai disoccupati per l’inarrestabile rivoluzione della modernità, hanno man mano occupato spazi di libertà che non erano i loro: cortili, campi, ma anche strade più o meno trafficate (con l’inevitabile incremento di collisioni).
Abituati da sempre alla collaborazione con l’uomo — meglio: a servirlo con pazienza e qualche impeto di cocciutaggine — non sono mai riusciti a considerarlo come potenziale nemico, al pari del giaguaro o dei coccodrilli. Ma da qualche tempo questa serenità, nell’universo asinino, è scomparsa. Presi di mira da figuri senza scrupoli, a migliaia vengono catturati e uccisi per la (recente) scoperta del loro valore. Non è solo la loro carne a interessare ma, soprattutto, la loro pelle. Come racconta il Wall Street Journal in un lungo e documentato servizio, dietro questa cruenta svolta c’è la richiesta del mercato cinese, dove gli asini rappresentano l’ingrediente indispensabile di un prodotto molto popolare della medicina tradizionale.
Non tutto l’animale serve: in realtà, per quanto anche il resto piaccia molto ai gourmet del Celeste Impero (dove ci si ciba di quasi tutto quello che si muove, e non solo), dei poveri ciuchini interessa soprattutto la pelle che, trattata in modo particolare e bollita, diventa il richiestissimo ejiao . Di cosa si tratta? Di una gelatina cui la tradizione cinese attribuisce proprietà curative, anti invecchiamento e, non potevano certo mancare, anche afrodisiache.
Vero? Falso? Poco importa: l’incrocio tra domanda e offerta ha raggiunto il Sudamerica dopo campagne analoghe in Africa e altrove. Macelli e società di esportazione di carni si sono adattati alle esigenze dei clienti orientali, mettendo a rischio la sopravvivenza del milione di quadrupedi che, nelle parole di Geuza Leitão — animalista e autrice del saggio «Sua eccellenza l’asino» — «ormai sono un simbolo del Nordest del Brasile: vogliamo che siano lasciati in pace».
La realtà è molto più complessa. Come racconta il Wall Street Journal , tra Bahia e Apodì negli ultimi mesi sono stati aperti due macelli «specializzati» nel trattare questi animali. Ovviamente, la destinazione è la Cina e il funzionamento di queste strutture risponde a precise richieste di commercianti arrivati da oltre oceano. Il governo federale deve ancora approvare le licenze per trattare le carni (e il pellame) di asino e Pechino, a sua volta, deve autorizzarne l’importazione. Ma in Brasile sono sicuri che entro l’anno questa nuova «linea agricola» sarà perfettamente funzionante e comincerà a produrre profitti.
D’altro canto, gli ingredienti per la manifattura della gelatina ejiao sono sempre più difficili da reperire: molti Paesi africani, fino a qui i principali fornitori, hanno vietato la vendita di asini, ancora preziosi nella vita rurale. In Brasile gli scrupoli sono differenti. Ed è per questo che diverse ong animaliste hanno cominciato ad affilare le armi per «fermare la strage». Operazione difficile: vicino ai macelli stanno nascendo allevamenti per «raffinare geneticamente» gli asini senza futuro: la battaglia è soltanto all’inizio.
FONTE: Paolo Salom, CORRIERE DELLA SERA[1]
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