Lula si piega al carcere ma la lotta va avanti: «I criminali sono loro»

by Claudia Fanti | 8 Aprile 2018 10:02

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È stato un discorso di resistenza, di lotta, di speranza e di denuncia quello rivolto da Lula alla moltitudine riunita a São Bernardo do Campo, prima di consegnarsi, «a testa alta», alla polizia federale di Curitiba. «Se dipendesse dalla mia volontà – ha spiegato ai sostenitori – io non andrei, ma lo farò. O a partire da domani diranno che sono latitante». Impensabile chiedere asilo politico: «Alla mia età», ha detto, «meglio affrontarli a viso aperto», nella certezza che «la storia dimostrerà» che «sono loro ad aver commesso un crimine».

“LORO” sono il giudice Sérgio Moro, l’esponente più brillante della nuova Repubblica giudiziaria, i responsabili dell’inchiesta Lava Jato, i magistrati del Tribunale regionale federale di Porto Alegre, la rivista Veja, la Rede Globo («Ho detto a Moro che non poteva assolvermi, dal momento che la Globo mi stava condannando»).

«Non li perdonerò – ha detto Lula – per aver fatto passare il messaggio che sono un ladro» senza aver fornito una sola prova: «Sono l’unica persona al mondo processata per un appartamento che non è neppure suo». Eppure, ha sottolineato, «nessun giudice dorme tranquillo come me».

“LORO” sono i responsabili del golpe «che non è finito con la destituzione di Dilma, ma andrà avanti finché non mi escluderanno dalle elezioni». Perché quello che vogliono è impedire che il povero possa avere diritti, mangiare in maniera sana, andare all’università. Ma si illudono, perché «la morte di un combattente non ferma la rivoluzione». A nulla serve, ha insistito Lula, «impedirmi di girare per il Paese. Vi sono milioni di Lula che lo faranno», «più intelligenti di me», che faranno manifestazioni e occupazioni nei campi e nelle città. «Loro non sanno che il problema non si chiama Lula, ma si chiama coscienza popolare». E, prima di offrirsi all’abbraccio finale del suo popolo, ha concluso: «Il mio cuore batterà nel vostro cuore e nei milioni di cuori dei brasiliani».

«Sono l’unica persona al mondo processata per un appartamento che non è neppure suo. Eppure nessun giudice dorme tranquillo come me»

IL SUO ULTIMO DISCORSO pubblico – ricco di riconoscementi e parole di gratitudine (per Dilma soprattutto), Lula lo ha pronunciato dopo la cerimonia religiosa in ricordo della moglie Marisa Letícia, che ieri avrebbe compiuto 68 anni, morta prima del tempo (nel febbraio dell’anno scorso) «per tutti gli attacchi ricevuti dalla stampa». Una cerimonia piena di emozione, presieduta da uno dei grandi vescovi progressisti del Paese ancora in vita, dom Angélico Sândalo Bernardino, già ausiliare del cardinale Paulo Evaristo Arns e ora vescovo emerito di Blumenau.

«MOLTA GENTE CHE È QUI – ha detto – si ricorda quando, ai tempi della dittatura, scendevamo in strada lottando per le nostre cause, le cause del popolo. E che ci dicevamo: ’O povo unido jamais será vencido’». E, attaccando la grande stampa e sposando pienamente la tesi della sinistra brasiliana relativamente al processo golpista parlamentare-giudiziario-mediatico in corso, ha aggiunto: «Tutti qui siamo convinti che il Brasile abbia sofferto un golpe. Solo che la prima metà è avvenuta quando Dilma è stata destituita. E la seconda metà quando impediranno a Lula di candidarsi, calpestando la Costituzione del Paese».

NON RESTA ALLORA che il popolo si unisca, di nuovo. Che riprenda a occupare le piazze lasciate finora troppe vuote. Che si unisca alle forze che non hanno mai smesso in questi mesi di mobilitarsi, come i Senza Terra che venerdì hanno bloccato in 20mila più di 50 strade di 18 Stati del Paese. «Stiamo invitando tutti a promuovere un accampamento a Curitiba», ha dichiarato il leader del Mst João Pedro Stédile, «per una veglia permanente finché Lula non recuperi la libertà». Per diventare «il cuore di Lula e resistere».

«Lula ha spiegato che questa non è una dimostrazione di debolezza. Al contrario, è una strategia per far ricadere la responsabilità sull’altro lato», ha sottolineato Stédile, uno dei leader a cui Lula ha voluto rivolgere un ringraziamento speciale, insieme, tra gli altri, ai pre-candidati alla presidenza Guilherme Boulos (per il Psol) e Manuela d’Ávila (Partito comunista del Brasile), definiti come «la speranza del Paese». «Non è il momento di piangere – ha esortato Stédile – ma di resistere e lottare». Lo ha ribadito anche la presidente del Pt Gleisi Hoffman: «Occuperemo Curitiba. Finché non libereranno Lula, dovranno convivere con la nostra resistenza».

E la parola resistenza è stata di sicuro la più utilizzata tra la moltitudine riunita a São Bernardo do Campo, pronta a proteggere il suo presidente per impedire l’arresto. «Da parte nostra – ha assicurato per esempio un altro noto leader dei Senza Terra, Gilmar Mauro – siamo disposti a resistere fino alla fine, ma esistono questioni giuridiche che possono aggravare la situazione di Lula».

FONTE: Claudia Fanti, IL MANIFESTO[1]

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  1. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

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