Alternanza scuola lavoro, la punizione del sei in condotta è stata un arbitrio

Alternanza scuola lavoro, la punizione del sei in condotta è stata un arbitrio

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Sorge il sospetto che sia stato punito per dimostrare che il diritto è quella cosa per la quale ha valore di legge ciò che il principe, o il preside sceriffo, o il tutor aziendale esterno, ha piacere che sia

La notizia dello studente dell’ITI Leonardo da Vinci di Carpi, sanzionato col sei in condotta per aver espresso una propria opinione sull’attività di alternanza scuola-lavoro (che fa seguito al caso di un tutor aziendale che aveva preteso un’analoga sanzione per un’intera classe, in quel caso senza esito) è preoccupante non solo perché sembra ledere la libertà di espressione – peraltro esercitata su facebook, e non negli spazi scolastici –, ma anche perché sembra reintrodurre una modalità di giustizia-fai-date irrispettosa delle norme che regolano le sanzioni disciplinari.

I regolamenti scolastici, infatti, devono fare riferimento al cosiddetto “Statuto delle studentesse e degli studenti” (DPR 249/1998, modificato con DPR 235/2007), che è una legge dello Stato, e come tale non modificabile da regolamenti interni delle singole scuole. Il quale Statuto recita, all’art. 4.4, che “In nessun caso può essere sanzionata, né direttamente né indirettamente, la libera espressione di opinioni correttamente manifestata e non lesiva dell’altrui personalità”.

Nel caso dello studente carpigiano sembra essere accaduto proprio il contrario, come confermano le dichiarazioni del Dirigente Scolastico Paolo Pergreffi, che si permette di affermare che «la presa di posizione [dello studente sanzionato] è dovuta a convinzioni ideologiche sull’alternanza scuola lavoro, probabilmente antecedenti rispetto all’inizio del periodo in azienda».

Condivisibili o meno, le “convinzioni ideologiche antecedenti” sono, per l’appunto, libere opinioni non sanzionabili.

Quanto alla sanzione, dal Regolamento di disciplina del Leonardo Da Vinci, consultabile sul sito dell’Istituto, non risultano voti in condotta come sanzione, men che meno comminati in un periodo intermedio fra le due valutazioni: in questo caso la sanzione, non solo in riferimento alle motivazioni, ma anche in relazione alla gradualità delle punizioni previste, appare del tutto arbitraria.

Peraltro, in un altro decisivo passaggio il Regolamento dell’ITI Da Vinci risulta in aperta contraddizione con il DPR 235/2007, che afferma con chiarezza, all’art. 5, che “Contro le sanzioni disciplinari è ammesso ricorso, da parte di chiunque vi abbia interesse, entro quindici giorni dalla comunicazione della loro irrogazione, ad un apposito organo di garanzia interno alla scuola”, laddove il regolamento disciplinare dell’Istituto carpigiano elenca numerose tipologie di comportamenti sanzionabili per i quali, una volta deliberata la sanzione, non è ammessa impugnazione.

Alla luce delle finalità affermate dal DPR 235/2007 – “I provvedimenti disciplinari hanno finalità educativa e tendono al rafforzamento del senso di responsabilità ed al ripristino di rapporti corretti all’interno della comunità scolastica” –, a cosa educano queste sanzioni comminate da regolamenti che violano la certezza del diritto e la gerarchia delle fonti?

Non si corre il rischio che la studentessa o lo studente giungano alla conclusione che il diritto è quella cosa per la quale ha valore di legge ciò che il principe, o il preside sceriffo, o il tutor aziendale esterno, ha piacere che sia?

FONTE: Girolamo De Michele, IL MANIFESTO



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