L’Italia in Africa. «La missione in Niger non si ferma», ma nel Sahel cresce l’opposizione
«Non ci sono ipotesi di ritiro del personale italiano. La missione si svilupperà in pieno accordo con le autorità locali». Per la terza volta in tre mesi lo Stato maggiore della Difesa smentisce la notizia di un possibile stop all’intervento italiano in Niger. Al punto che fonti del ministero assicurano che oltre ai 40 specialisti già presenti dalla fine dello scorso anno a Niamey, nelle prossime settimane potrebbero partire anche i primi addestratori chiamati a formare le forze di sicurezza nigerine nella «sorveglianza del territorio e delle frontiere», come si spiega nella relazione inviata a dicembre dal governo italiano al parlamento.
La nota della Difesa rappresenta un’implicita presa di posizione anche del governo in carica, seppure senza pieni poteri, che conferma così l’intenzione – almeno per ora – di non voler mettere in atto nessuna marcia indietro. Appare però chiaro a tutti che quella che dovrebbe portare i soldati italiani in Niger è una strada ancora tutta in salita. E per diversi motivi.
Dal punto di vista politico l’ostacolo più grande è rappresentato forse dalla consapevolezza di non avere in Niger un interlocutore affidabile. Nonostante la missione sia stata prima concordata dal ministro della Difesa Roberta Pinotti con il collega nigerino Kalla Moutari il 26 settembre 2017, e in seguito richiesta formalmente da Niamey con due lettere inviate al governo italiano il 1 novembre 2017 e il 15 gennaio 2018, periodicamente arrivano dal Niger dichiarazioni altalenanti da parte di esponenti del governo che a seconda dei casi confermano o smentiscono l’arrivo dei soldati italiani. E’ accaduto mesi fa con le dichiarazioni del ministro degli Esteri riportate dall’emittente pubblica francese Rfi, secondo il quale il governo non sarebbe stato informato della missione. Ma anche il 10 marzo scorso, quando questa volta il ministro degli Interni ha definito «inconcepibile» l’eventuale presenza nel Paese africano di militari italiani. Una situazione confusa, come ha confermato pochi giorni Samira Sabou, giornalista e attivista nigerina. «L’Italia ha detto di aver ricevuto una richiesta di sostegno militare da parte del nostro governo, ma dai ministri dell’Interno e della Difesa riceviamo dichiarazioni contrastanti», ha spiegato la donna. «Il primo la smentisce, il secondo non smentisce ma sostiene che sarebbe utile alla nostra sicurezza».
Un altro ostacolo è rappresentato dalla società civile nigerina, contraria a veder crescere la presenza di soldati stranieri. Gli italiani andrebbero infatti ad aggiungersi ai contingenti francese, americano e tedesco già presenti in Niger e contro la presenza dei quali a Niamey si susseguono manifestazioni sostenute dal neonato Front de l’opposition indépendent (Foi) anche in difesa delle popolazioni locali alle quali sarebbe negato l’accesso ai terreni limitrofi alle basi militari dalle quali decollano droni e aerei.
Ma a rendere più complicata l’intervento italiano potrebbe essere infine anche la presenza francese. L’Italia va in Niger per addestrare le forze locali a contrastare i flussi migratori e i rischi legati al terrorismo, come ha spiegato pochi giorni fa il generale Claudio Graziano, capo di stato maggior della Difesa. Ma si tratta di una missione «no combat», anche per il numero ridotto di soldati che verranno impegnati (470 una volta a regime), mentre il presidente francese Emmanuel Macron avrebbe preferito (e anche chiesto senza successo al premier Paolo Gentiloni) che i soldati italiani venissero impegnati anche nel combattere le formazioni terroristiche presenti sul territorio. Il rifiuto italiano non sarebbe piaciuto a Parigi, che in Niger deve difendere anche i suoi notevoli interessi economici, visto che il 30 per cento dell’uranio necessario alle sue centrali arriva proprio dal Paese del Sahel.
FONTE: Carlo Lania, IL MANIFESTO
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