by Eleonora Martini | 5 Marzo 2018 10:24
Anche nel giorno delle elezioni il carcere si conferma un’istituzione dove i diritti sono sempre a rischio. Il numero di detenuti che ha chiesto di poter votare in alcuni penitenziari, per esempio a Roma, è stato superiore rispetto al passato, ma solo raramente c’è stata un’”affluenza” record, a causa delle limitazioni imposte dalle leggi penali e dalla complicata procedura delle operazioni di voto in cella. A riferirlo sono stati i Garanti delle persone detenute – comunali, metropolitani, provinciali e regionali – che ieri sono entrati in circa 30 dei 190 istituti penitenziari per monitorare le operazioni di voto. Ma nelle carceri italiane ieri c’erano anche gli osservatori dell’ Osce.
«Per noi l’occasione elettorale e la presenza in carcere ha avuto un duplice scopo – spiega Stefano Anastasia, garante regionale del Lazio -: il monitoraggio di un momento delicato della democrazia in un ambiente difficile e la denuncia di una anacronistica legislazione che limita eccessivamente il diritto di voto dei detenuti (praticamente non possono usufruirne la generalità dei condannati con pene superiori a tre anni). E la richiesta al governo di portare a compimento la prima parte del processo di riforma generato dagli Stati generali dell’esecuzione penale, approvando in via definitiva il primo decreto legislativo già sottoposto all’esame delle Camere e delle Regioni».
Anastasia racconta che a Regina Coeli, dove si è recato ieri e dove la maggior parte dei reclusi è in attesa di giudizio quindi generalmente in condizioni di poter votare, «erano iscritti al voto 140 detenuti» (il più noto, l’imprenditore Stefano Ricucci, appena tornato in cella con l’accusa di corruzione in atti giudiziari), «cui via via se ne aggiungevano altri (mentre eravamo lì, sono arrivate ancora quattro richieste, da inoltrare agli uffici elettorali dei comuni di residenza).
Un numero altissimo se si tiene conto che gli italiani a Regina Coeli ad oggi sono 442 su 943 e alcuni di loro hanno l’interdizione dai pubblici uffici, e quindi dal voto. Alle politiche del 2013, in tutta Italia, i votanti sono stati 3426, circa il 10% degli aventi diritto. Qui siamo ben oltre il 25%». Quasi certamente la media nazionale non sarà così alta, ma dovremo aspettare qualche giorno per conoscere i dati esatti, quanti dei circa 20 mila reclusi in attesa di giudizio e quanti dei circa 38 mila condannati definitivamente hanno potuto votare.
La macchina, riferisce Anastasia, «sembrava ben rodata e funzionare alla perfezione». I nodi infatti sono a monte, se, per esempio, in Campania sono stati solo 120 i detenuti che hanno votato, secondo il garante regionale Samuele Ciambriello che aggiunge: «Colpisce che in tre carceri (Pozzuoli, Vallo della Lucania e Santa Maria Capua Vetere) non ci sia stata alcuna richiesta di esercitare il diritto di voto. Negli altri istituti i votanti sono al disotto di 10 unità». Di contro, in un carcere come quello di Sollicciano, a Firenze, i votanti sono stati 23, in maggioranza donne, come alle scorse elezioni, riferisce il garante della Toscana, Franco Corleone.
FONTE: Eleonora Martini, IL MANIFESTO[1]
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