Idriss Nassan: «Per gli sfollati di Afrin il mondo non si muove»

Idriss Nassan: «Per gli sfollati di Afrin il mondo non si muove»

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Lo scontro ad Afrin prosegue: militare, con la guerriglia delle unità curde Ypg/Ypj contro soldati turchi ed Esercito libero siriano; e politica con il progetto del presidente Erdogan di nominare un governatore per il cantone curdo-siriano, ovviamente suo alleato. Fonti turche parlano dell’intenzione di trasferire ad Afrin 350-400mila rifugiati siriani dalla Turchia, mentre 300mila civili da Afrin sono sfollati.

Ne abbiamo parlato con Idriss Nassan, ex co-ministro agli Esteri del cantone di Kobane.

In che condizioni si trovano i 300mila sfollati da Afrin?

Dopo l’invasione, centinaia di migliaia di persone si sono rifugiate a Shabha (distretto di Aleppo, ndr). Vivono in rifugi, tende che hanno tirato su da soli, alcuni dormono per strada. A Kobane, dove mi trovo, la gente raccoglie quel che può per aiutarli. L’accoglienza è del tutto gestita dai locali, le ong internazionali non arrivano. Abbiamo lanciato appelli perché forniscano aiuti e sostegno finanziario ma a oggi non hanno avuto i permessi necessari a passare. Nel nord della Siria oggi tutto dipende dalla gente e la solidarietà locale.

Nell’area di Shabha ci sono comunità su cui gli sfollati possono appoggiarsi?

Shahba non è vuota, ci sono villaggi dove operano le Ypg e verso queste comunità il governo di Damasco ha aperto un corridoio. Ma mancano strutture che possano fare da rifugio. Inoltre la zona è assediata da turchi e Els. L’Amministrazione autonoma di Kobane sta raccogliendo denaro per acquistare tende per chi si trova all’addiaccio. Serve tutto, cibo, acqua, prodotti per l’igiene personale, medicine: hanno lasciato le loro case con addosso solo i vestiti.

Avete notizie da Afrin? Lì ci sono ancora dei civili.

Le notizie su di loro sono pessime: i gruppi di opposizione stanno portando via tutti i beni da case e negozi, macchine, animali, qualsiasi cosa possa essere venduta o usata. Chi è rimasto non ha nulla. Ci dicono che i miliziani hanno occupato alcune case dove i civili stavano ancora vivendo. La gente ha paura di uscire: chi è accusato di affiliazione con le Ypg viene arrestato anche se non ha nulla a che fare con l’Amministrazione. Questi occupanti sono venuti a distruggere e a rubare, non a liberare i civili.

Anche i membri dell’Amministrazione autonoma di Afrin sono stati costretti a fuggire?

I co-leader e i membri dell’Amministrazione sono insieme agli sfollati a Shahba: possono soltanto lanciare appelli.

Gli Stati uniti, con cui avevate stretto un’alleanza, non sono intervenuti. Rimpiangete di averne chiesto il sostegno?

Prima dell’attacco ad Afrin la gente era serena, Stati uniti e Russia sembravano intenzionati a mantenere Rojava lontano dallo scontro. La coalizione a guida Usa ha giustificato il mancato intervento dicendo che Afrin non ricadeva nella propria zona di operatività. Ma ora tutte le città del nord della Siria sono possibili target: Erdogan minaccia ogni giorno di marciare su Manbij, Kobane, Qamishli, fino al confine iracheno. Funzionari politici e militari Usa fanno visita a Manbij per rassicurare la popolazione, ma non ci fidiamo più. L’alleanza con gli Usa e anche i contatti stretti con la Russia erano necessari, ma in qualche modo oggi ce ne pentiamo: la comunità internazionale non si muove contro un attacco che non è solo contro Afrin ma contro l’umanità, perché la Turchia sta violando il diritto internazionale.

E il governo siriano? Ha inviato uomini ma non sono intervenuti a difesa del cantone.

Se Damasco voleva proteggere Afrin avrebbero mandato truppe vere o almeno creato una no-fly zone. Ma non è intervenuta e le Ypg da sole non erano in grado di proteggere la zona dai raid aerei. Penso però che il mancato intervento non sia dovuto a un’assenza di volontà del governo, quanto a Russia e Usa che non si sono voluti muovere contro la Turchia. Senza la protezione russa, il governo non aveva spazio di manovra e allora ha mandato solo un po’ di miliziani, per propaganda.

FONTE: Chiara Cruciati, IL MANIFESTO



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