by Marina Catucci | 25 Marzo 2018 9:24
La più imponente manifestazione per il controllo delle armi ha richiamato a Washington centinaia di migliaia di persone e altre hanno protestato praticamente ovunque negli Stati uniti, non solo nelle grandi città delle due coste, ma anche nei piccoli centri. Per dire enough is enough, ora è troppo, una regolamentazione è necessaria ed è necessaria ora.
A organizzare tutto ciò, a dare il via a questo movimento così partecipato e potente, sono stati i ragazzi della scuola superiore di Parkland in Florida dove il 15 febbraio 17 ragazzi hanno perso la vita in un mass shooting. In poco più di un mese l’onda si è alzata e non accenna a scendere, a differenza di tutte le altre volte in cui un massacro simile si è consumato.
Per la prima volta i sopravvissuti e i parenti delle vittime non hanno solo accettato abbracci e preghiere, ma hanno dato vita a una protesta su scala nazionale mandando un messaggio ben preciso: oggi marcio, ma a novembre voto.
Su molti cartelli presenti in tutte le manifestazioni di March For Our Lives si legge questo concetto: a novembre ci saranno otto milioni di nuovi elettori, nel 2020 saranno ancora di più, e non voteranno nessuno che abbia legami con la lobby della armi, la Nra.
Sul palco di Washington, alla fine del cortei, si sono susseguiti i contributi di studenti, insegnanti, genitori e sopravvissuti ai mass shooting; per la maggior parte sono ragazzi, diremmo ragazzini, dai 15 ai 18 anni, che affrontano un palco con di fronte centinaia di migliaia di persone e tutti i network nazionali, con un cipiglio che viene interrotto dall’emozione, dal dolore, per poi riprendersi e ricominciare a parlare.
Una delle studentesse della Florida si deve interrompere per vomitare per poi riprendere l’appello: dovete lasciarci vivere, le armi sono meno importanti di noi. I racconti più forti arrivano dai ragazzi sopravvissuti ai massacri avvenuti nelle scuole americane, come gli adolescenti che erano bambini nella scuola elementare di Sandy Hook in Connecticut e che descrivono quel giorno, quando un ventenne disturbato entrò nella loro scuola uccidendo 20 bambini e sette adulti. Tutti i messaggi finiscono dicendo «Non faremo vincere la vostra agenda dettata dalla Nra, non vi voteremo, noi vi sconfiggeremo».
Sul palco arrivano anche la nipote di Martin Luther King e artisti che cantano per loro, Ariana Grande, Jennifer Hudson, cori gospel, ma i veri protagonisti sono loro, gli adolescenti americani feriti e consapevoli, che affrontano il comizio con cipiglio da leoni spezzato dalle lacrime, come accade a Emma Gonzalez che insieme a David Hogg è uno dei volti più noti di questo movimento.
Gonzalez sale sul palco e chiede di restare in silenzio per i sei minuti e mezzo che è durata la sparatoria in Florida. In quei sei minuti le lacrime rigano i volti di chi è sul palco come tra la folla. La maggior parte dei presenti sono giovanissimi, ma si vedono anche i baby boomer e i rappresentanti della generazione X, nonni e genitori di questi ragazzi che sono andati alla manifestazione accompagnati.
«Vengo da Stantfort in Connecticut – dice Isa, 15 anni – Sono venuta con mio padre, è da quando sono nata che sento queste storie alla tv e alla radio, sento che ci sono veglie di preghiera, poi mentre il giorno dopo vado a scuola mi chiedo se magari non capiterà anche a me. Prima o poi arriva il momento di dire ’ora basta’. A scuola studiamo che queste cose non si fermano da sole, il compito di cambiare è della mia generazione».
Le manifestazioni delle altre città sono state altrettanto emozionanti e partecipate. Negli Stati più attivi e con le leggi più restrittive riguardo le armi i governatori, i sindaci, i senatori sono scesi in piazza, ma sempre un passo indietro rispetto ai ragazzi. «Io sono un ragazzo delle superiori e sono anche nero – dice Sam, 17 anni, al corteo di New York – Sai quante probabilità ho di venire ucciso da armi fuoco? Pensaci, ho nemici ovunque. Non mi vengano a parlare di secondo emendamento per una mitragliatrice semi automatica, per favore».
FONTE: Marina Catucci, IL MANIFESTO[1]
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2018/03/97777/
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