by Emanuele Giordana | 22 Marzo 2018 10:31
UNA MOSSA che per molti non è una sorpresa dal momento che erano noti i suoi problemi di salute, ma che aggiunge nuove preoccupazioni sulla guida di un Paese dove, nonostante la vittoria nelle elezioni del 2015, la Lega per la democrazia di Aung San Suu Kyi sembra ancora ostaggio della casta militare.
Tra l’altro, la sostituzione di U Htin Kyaw, ex compagno di scuola della Nobel e uomo di fiducia di Suu Kyi, prevede che sia il vicepresidente a prenderne il posto almeno per l’interim necessario a nuove elezioni da parte del parlamento.
IN MYANMAR i vicepresidenti sono due ma il più anziano è un militare: il generale Myint Swe che salirà dunque sullo scranno più alto.
Il portavoce della Camera bassa, Win Myint – uomo vicino ad Aung San Suu Kyi – si è immediatamente dimesso dal suo incarico e tutto fa prevedere che il candidato della Lega sarà lui.
Ma in un momento molto difficile per la giovane democrazia birmana e con tutte le difficoltà innescate dalla vicenda dei Rohingya (la minoranza musulmana espulsa dal Paese dopo l’ennesimo pogrom che da agosto ne ha visti scappare in Bangladesh circa 700mila) anche il gioco della presidenza può essere un’occasione pericolosa o quantomeno un momento per testare il grado di equilibrio nella difficile convivenza tra civili e militari.
Benché infatti il partito dell’esercito abbia perso le elezioni, i militari hanno diritto a un terzo dei parlamentari (non eletti) e hanno in mano tre dicasteri chiave (Interni, Difesa, Frontiere). Proprio nella vicenda rohingya, hanno dimostrato di essere loro, più che il governo civile, ad avere sotto controllo la situazione.
FONTE: Emanuele Giordana, IL MANIFESTO[1]
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2018/03/97724/
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