Il genocidio del 1994. Il Ruanda segreto della Francia
La condotta di Mitterrand, le armi, il modo in cui l’Operation Turquoise salvò profughi e criminali. In attesa che vengano desecretati, come promesso, i documenti ufficiali
Ci sono sempre più ombre sul reale ruolo di Parigi in Ruanda al momento del genocidio dei Tutsi. Nonostante si attenda ancora che i documenti riservati siano, come promesso, resi pubblici, le informazioni continuano a circolare in maniera insistente. E c’è davvero poco di lusinghiero per la Francia, nello scenario che, pur non confermato, si sta ricostruendo.
QUESTA VOLTA è merito del quotidiano Le Monde se, alla vigilia del ventiquattresimo anniversario della tragedia, si torna a parlare del ruolo dell’Eliseo prima, durante e dopo quei cento giorni che videro il paese africano teatro del massacro di 800 mila persone, per la maggior parte di etnia Tutsi.
È un’intervista all’ex-funzionario della Delegazione affari strategici, Pierre Conesa, a rivelare come si cercò di mettere in guardia l’allora presidente François Mitterrand sui rischi di un appoggio incondizionato al governo hutu, già molti mesi prima che il genocidio diventasse realtà.
Per Conesa, che racconta di una spaccatura tra i servizi che si occupavano del dossier, esistevano tutte le condizioni perché si verificasse una pulizia etnica contro i Tutsi su larga scala, anche alla luce dei pogrom già messi in atto nel 1990 e nel ‘92. L’obiettivo del Das era dimostrare che il sostegno francese al governo hutu di Habyarimana avrebbe potuto essere controproducente.
Che si trattasse o meno di una declinazione della sindrome di Fascioda (la località sudanese nella quale si consumò una cocente sconfitta diplomatica francese in Africa), che guardava con sospetto al leader dei ribelli Tutsi, Paul Kagame, considerato vicino agli americani, Conesa denuncia adesso la difficoltà di far arrivare sul tavolo del presidente le sue note, senza che queste fossero intercettate da altri servizi di intelligence.
In ogni caso, Parigi armò l’esercito regolare ruandese almeno fino all’embargo decretato dalle Nazioni unite il 17 maggio del 1994. Secondo Le Monde, i vertici militari francesi confermarono di aver fornito alle forze armate di Kigali soltanto strumenti di difesa contro i ribelli Tutsi, il che assume una sfumatura particolarmente ambigua quando si parla di armi.
QUELLO CHE È CERTO, assicurano dal quotidiano francese, è che sono stati militari francesi a formare le truppe d’élite ruandesi, le stesse accusate, secondo alcune ricostruzioni storiche, di essere all’origine dell’abbattimento dell’aereo del presidente.
A due mesi dall’inizio del genocidio, quando ormai le immagini delle migliaia di corpi straziati che circolavano avevano scosso l’opinione pubblica francese, all’Eliseo si decise di intervenire lanciando l’Operation Turquoise, un intervento i cui reali obiettivi non furono mai del tutto chiariti.
Se appare certo che a Parigi si contasse sul fatto che gli Stati uniti non avrebbero mai inviato un contingente militare in Ruanda, dopo l’esito fallimentare dell’operazione Restore Hope in Somalia, i contorni e le finalità dell’intervento francese sono oggetto di ricostruzioni poco onorevoli per gli allora dirigenti d’Oltralpe.
Le rivelazioni di Le Monde, insieme a quelle diffuse nel giugno scorso da Revue XXI, dipingono un quadro nel quale i militari francesi furono inviati per proteggere la fuga degli Hutu, compresi i responsabili del genocidio, dall’avanzata dei ribelli Tutsi, ormai in procinto di conquistare il paese.
IN QUESTO CONTESTO, rivelarono a Revue XXI alcuni ex-funzionari francesi rimasti anonimi, i soldati di Parigi, non soltanto coprirono la fuoriuscita dei criminali hutu, ma ebbero il compito di “distrarre” i giornalisti presenti, perché non assistessero alla consegna di armi agli stessi autori del massacro, mischiatisi ai civili.
In altre parole, sembrerebbe proprio che a Parigi, dietro la facciata di un’operazione umanitaria, si fosse deciso di continuare a sostenere il vecchio alleato hutu, nonostante fossero note le responsabilità del massacro perpetrato ai danni dei Tutsi.
Per comprendere quanto la questione ruandese risulti delicata in Francia, si deve tornare al luglio del 2017, al momento, cioè, della nomina del generale François Lecointre a capo di Stato maggiore dell’esercito francese. Lecointre, all’epoca capitano di fanteria, partecipò all’Operation Turquoise e le polemiche, in verità subito abortite, seguite alla sua designazione, vertevano, appunto, sul suo ruolo in quel contesto.
JACQUES MOREL, specialista della politica francese in Africa, arrivò ad accusare il nuovo capo di Stato maggiore di aver intrattenuto relazioni cordiali con Alfred Musema, processato e condannato come organizzatore del genocidio dal Tribunale penale internazionale per il Ruanda. Quanto quelle relazioni con un criminale di guerra fossero cordiali o quanto l’allora capitano si sia limitato a «eseguire gli ordini», non è dato saperlo, almeno fino a quando i documenti custoditi negli archivi non saranno completamente desecretati. Di sicuro c’è che anche l’inchiesta di Parigi, per verificare eventuali complicità francesi nel genocidio, sembra muoversi particolarmente a rilento, nonostante le pressioni che arrivano da Kigali.
FONTE: Francesco Ditaranto, IL MANIFESTO
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