In Marocco cresce la repressione, sotto tiro gli irriducibili del Rif

by Karim Metref | 15 Marzo 2018 16:51

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Sabato scorso la città di Jerrada, nella parte centro-orientale del Marocco, ha di nuovo vissuto una giornata tumultuosa. Centinaia di manifestanti sono usciti per protestare contro l’arresto di Mustapha Dainine, un militante di sinistra, uno dei leader della protesta che agita questa piccola città di confine dalla fine dell’anno scorso. Le proteste di Jerrada fanno parte di una serie di sollevamenti popolari che scuotono il regno del Marocco da più di un anno ormai. È iniziato tutto nella parte settentrionale del paese, nella regione montuosa del Rif, l’eterna ribelle.

ERA IL 28 OTTOBRE 2016 quando Mohcine Fikri, un giovane pescivendolo, è morto schiacciato dentro la benna di un camion di raccolta rifiuti mentre protestava per il sequestro della sua merce. La sua fine, preceduta dall’ordine di un ufficiale della polizia che ha gridato «tritatelo!», è stata filmata da molti presenti e mandata in rete sui social network, suscitando un’ondata di indignazione e rabbia che è sfociata in mesi e mesi di proteste.

Il governo come al solito ha risposto con un mix di repressione e tentativi di seduzione, con poche concessioni. Ma Hirak (il movimento) ha continuato a sfidare i divieti di manifestare e allora si è passato alle maniere forti: centinaia gli arrestati. Le accuse per alcuni di loro sono di «minaccia alla sicurezza dello Stato» e alcuni sono già stati condannati a pene molto pesanti, fino a 20 anni. Mentre molti aspettano ancora l’esito dei loro processi, sempre blindati.

IL MOVIMENTO È STANCO, ma le proteste continuano. Solo che da mesi la lotta  della popolazione è più per la liberazione dei prigionieri che per la piattaforma di rivendicazioni, di cui non si parla quasi più.

Nel frattempo, il coraggio e la tenacia dei cittadini del Rif sembrano aver contagiato altre regioni del paese. A novembre, nella zona di Essaouira, la popolazione si è ribellata dopo che alcune donne sono morte schiacciate in una rissa tra affamati che facevano la coda per una distribuzione di alimenti. Poco prima, nelle prime settimane di autunno, a Zagora e dintorni gli abitanti sono usciti per protestare contro la penuria di acqua. Acqua che invece viene sprecata dai grandi proprietari in colture, come l’anguria, che ne consumano tantissima.

In questi giorni invece è la zona di Jerada, sul confine con l’Algeria, che è in stato di ebollizione. La regione una volta viveva principalmente di estrazione di carbone, attività ufficialmente conclusa nel 2001. Ma anche se la miniera ufficiale è chiusa, la povertà spinge la gente a scavare pozzi abusivi per estrarre carbone in modo artigianale. Il 22 dicembre scorso, una galleria abusiva crolla e ci muoiono tre giovani. La popolazione esce a manifestare e da allora la situazione non è più rientrata nella norma. Negli ultimi giorni il governo ha proposto un programma di investimenti economici nella regione, dividendo il movimento tra chi vuole crederci e fermarsi e chi ricorda che le promesse del governo, in altre regioni, non sono mai state rispettate finora.

L’UNICA COSA CERTA è la repressione. In tutte queste regioni, la mano dello stato ha colpito duro. Arresti a catena e condanne durissime. Il solo appello via Facebook per un raduno può portare gli attivisti all’arresto. Nel Rif, il nuovo livello della repressione è quello contro i minorenni. Centinaia di bambini e ragazzi vengono interpellati durante i cortei o convocati in caserma. Alcuni vengono trattenuti per ore, altri per giorni. Il caso più emblematico è quello di Saifeddine, della località di Imzouren, una delle più attive. Portato in un commissariato, è stato interrogato per 6 lunghe ore dai poliziotti e poi rilasciato. Sarebbe normale gestione dell’ordine pubblico, se non fosse che Saifeddine è un bambino di soli 6 anni.

ALTRI MINORI sono ancora in carcere con l’accusa di disordini e raduni non autorizzati. Molti hanno subito violenze fisiche e psicologiche, denuncia il movimento. Non solo detenzione preventiva, ma anche condanne pesanti per quelli passati in giudizio: in genere uno, due anni di detenzione, ma c’è chi ha preso 15 anni.

Nei giorni scorsi, più di una ventina di organizzazioni nazionali e internazionali hanno diffuso un «Appello alla solidarietà contro la repressione del Hirak del Rif». Nell’appello si può leggere: «Un’ondata di arresti senza precedenti si è abbattuta sugli abitanti del Rif marocchino. Al momento, undici minori sono perseguiti in stato di libertà provvisoria mentre altri dodici sono in carcerazione preventiva in attesa del processo. Ricordiamo che già da otto mesi i militanti del Hirak (Movimento) del Rif sono vittime di una repressione feroce: si contano 450 persone in carcere o sotto processo giudiziario. I prigionieri politici sono stati sparpagliati in più di dieci prigioni del Marocco. La repressione colpisce arbitrariamente tutta la popolazione del Rif, giovani e adulti, donne e uomini. Tutti gli abitanti sono ora potenziali bersagli delle forze dell’ordine».

A RENDERE IL CLIMA ancora più pesante, nei giorni scorsi è arrivata la notizia dell’arresto di Taoufik Bouachrine, direttore del quotidiano Akhbar Al Yaoum. Una nota del procuratore generale di Casablanca parla di presunte denunce per violenza sessuale a suo carico, ma non è filtrato altro finora.

Anche per Mustapha Dainine, l’attivista di Jerada, il Procuratore generale di Oujda ha dichiarato che il suo arresto non è legato alle proteste, ma a un misterioso incidente d’auto che il giovane avrebbe causato. Fatto sta che mentre una parte del movimento della città è tentata dalle promesse del governo, Dainine sembra essere uno  gli irriducibili che chiamano a continuare la lotta. L’incidente cade un po’ troppo a fagiolo per essere credibile.

All’inizio delle proteste del Hirak lo stato ha colpito duramente tra i giornalisti freelance e i gestori di piccoli siti di informazione locali, che si erano distinti per una copertura più vicina ai movimenti. Secondo alcuni osservatori esperti di questioni marocchine, l’arresto è una segnale chiaro indirizzato alle testate più importanti: Il potere non tollera più nessuna forma di simpatia per le proteste. Il dialogo tra il palazzo reale, vero titolare di ogni potere in Marocco, e la società civile, è fatto principalmente di segni, messaggi non verbali e segnali subliminali.

LE PROTESTE E LE RIBELLIONI degli ultimi anni, il rifiuto di molti movimenti di dialogare con governi fantocci, dicono al sovrano: sappiamo che sei quello che ha il potere vero tra le mani e ti diciamo che la magia delle riforme dei primi anni 2000 è finita. Il popolo è contento di avere più libertà rispetto all’era di tuo padre, ma vorrebbe anche un pochino più di partecipazione, trasparenza, giustizia sociale ed economica.

L’aumento della repressione risponde che la pazienza dei regnanti si sta esaurendo e che potrebbe finire come nell’era del defunto Hassan II, che non esitò a bombardare con gli aerei le zone più ribelli.

Tutto indica che il monarca-imprenditore più ricco del pianeta non cederà al popolo una fetta della torta che tiene ancora saldamente tra le mani per effetto di semplici manifestazioni sporadiche.

FONTE: Karim Metref, IL MANIFESTO[1]

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  1. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

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