by Sebastiano Canetta | 15 Marzo 2018 16:34
BERLINO. Mutti della Germania, ufficialmente, per la quarta volta. Centosettantadue giorni dopo le elezioni federali, il Bundestag rielegge Angela Merkel alla guida della cancelleria. Governerà il Paese fino al 2021 grazie alla fiducia espressa ieri da 364 deputati su 709 e ai sensi del contratto di coalizione firmato lunedì con Spd e Csu.
È la consacrazione definitiva del “ventennio” della «ragazza dell’Est», comunque e nonostante tutto, capace di incassare il mandato che le garantisce un posto nella Storia. Ma anche il suo peggiore risultato di sempre: “vince” con soli 9 voti di scarto raccogliendo il pollice verso di ben 35 parlamentari della nuova maggioranza.
In ogni caso, la rielezione di Merkel chiude la lunga crisi istituzionale di Berlino e consente l’avvio del primo consiglio dei ministri, assolto a tempo di record già nel pomeriggio. Mentre la cancelliera – conquistata la certezza del voto – dichiara finalmente i suoi due veri obiettivi politici: recuperare l’elettorato di protesta perso nelle urne, ed “espellere” dal Parlamento i fascio-nazionalisti di Alternative für Deutschland.
«Sì, signor Presidente, accetto l’elezione». Legittimata da Wolfgang Schäuble invocante «la benedizione di Dio per il difficile compito» alle 9, vestita di bianco e nero, la Kanzlerin ha giurato solennemente al Bundestag, prima di presentarsi al Castello di Bellevue per la formale investitura del presidente della Repubblica.
In parallelo hanno assunto l’incarico tutti i ministri dell’esecutivo, composto per il 44 per cento da donne, un record per la Germania, mentre Merkel ha superato anche la ratifica del Bundesrat, l’Assemblea dei 16 Land equivalente del Senato. Dal punto di vista istituzionale non rimangono altri ostacoli al pieno governo della Repubblica. Politicamente, invece, emerge tutta la fragilità intrinseca della nuova-vecchia alleanza politica.
«La Groko di Merkel gode della fiducia quasi piena» è la stoccata via social di Kevin Kühnert, capo dei Giovani socialisti (Juso) e primo oppositore dell’esecutivo voluto dall’ex leader Martin Schulz e appoggiato dalla neo segretaria Spd (dal 22 aprile) Andrea Nahles.
Proprio la capogruppo si rivela più che sorpresa per le dimensioni della disobbedienza, che credeva domata con l’esito del referendum del 4 marzo. «Non ci aspettavamo un’opposizione così forte nella maggioranza. Ci sono stati molti più dissidenti di quanti me ne aspettassi» ammette Nahles, che ieri ha dovuto registrare anche il plateale mancato applauso alla cancelliera di una parte non trascurabile della delegazione socialista.
Una reazione opposta alla “patria” soddisfazione della sua omologa nella Cdu, anche lei di freschissima nomina. «Una scelta chiara: adesso avanti con tutte le forze per la Germania!» esclama la segretaria generale democristiana Annegret Kramp-Karrenbauer, braccio destro di Merkel, al primo posto per la successione fra quattro anni.
In mezzo, ci sono da assolvere metodi e compiti imposti dalla cancelliera. «Faccio appello a tutte le forze del Paese, con l’obiettivo di risolvere i problemi di coloro che hanno scelto di protestare» puntualizza Mutti nell’intervista al canale Ard trasmessa ieri sera. Rispondendo così alla domanda sul boom di Afd: «Dobbiamo renderli più piccoli, fare in modo che non vengano più rieletti al Bundestag. Prima, però, bisogna cominciare a risolvere i problemi delle persone come appena fatto con la stesura del contratto per il governo».
Tradotto, significa rivedere quasi tutto, anche la politica sui richiedenti-asilo, nel senso dell’aspettativa popolar-populista. «Applicheremo la legge vigente in Germania. La gente si aspetta, giustamente, che chi non possiede lo status legale torni in patria. Solo così possiamo garantire la protezione umanitaria». Fine della «politica di benvenuto» sui migranti, pur in assenza di emergenza e con il record di nuovi posti di lavoro (solo nella capitale sono previsti 50.000 nuovi impieghi entro il 2018). Difesa, invece, dello stato sociale nazionale con l’assicurazione che «le persone bisognose continueranno a beneficiare dell’aiuto di cui necessitano», come stabilito nelle 177 pagine dell’accordo firmato quattro giorni fa da Merkel, il governatore Csu Horst Seehofer e il segretario-reggente Spd, Olaf Scholz, che da ieri è ministro delle Finanze.
Un programma politico di compromesso che richiede la stabilità parlamentare necessaria a varare misure per 42 miliardi di euro. Spesa imprescindibile, visto che «non si può continuare come finora perché i problemi sono cambiati completamente» precisa Merkel, versione Angela IV.
FONTE: Sebastiano Canetta, IL MANIFESTO[1]
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