by Federico Fubini | 12 Marzo 2018 9:27
Secondo le proprie idee, la si può chiamare in una miriade di modi diversi. «Destra nazionalista», oppure «sovranista», «radicale», «estrema» e «neo-fascista», «nazionalista», «sciovinista» e «anti-immigrati», «euroscettica» e «anti-europea» o «xenofoba», «popolare» o «populista». La stessa quantità di definizioni possibili dimostra quanto la politica europea sia oggi in uno stato di soqquadro simile a quello dei mercati finanziari pochi anni fa.
Ognuno sceglierà il termine che la propria cultura gli detta, ma un esame dei sondaggi e delle ultime elezioni dovrebbe mettere tutti d’accordo almeno su un punto: questa destra — nuova o vecchissima che essa sia — ha fatto il sorpasso. In un’Unione Europea nata dalle macerie del fascismo, le è incredibilmente riuscito di entrare nell’élite delle forze che condizionano il linguaggio e le scelte degli altri. Oggi la destra radicale è il secondo campo politico di forza in Europa, dietro solo al Partito popolare, avendo superato la (ex) grande famiglia socialdemocratica che per 70 anni nel dopoguerra era stata determinante per il contratto sociale, le istituzioni e gli equilibri politici del continente.
L a galassia nazionalista il sorpasso lo ha portato a termine in queste settimane con le elezioni in Italia, con l’evoluzione dei sondaggi in Germania e anche con la Brexit. Se si tenessero oggi le elezioni europee — anziché tra 15 mesi — la nebulosa di partiti che si richiamano ai valori della patria, a leadership personali forti, a politiche intransigenti contro l’immigrazione e i rifugiati, a volte con parole d’ordine di tipo etnico, prenderebbero poco più del 17% dei consensi. Le formazioni della famiglia socialista e democratica nella Ue (S&D, ex Pse) si fermerebbero sotto al 16%. Se le europee si tenessero oggi le destre sovraniste incasserebbero circa 30 milioni di voti anche se si astengono metà degli elettori. Lo scarto percentuale dei sovranisti sui progressisti sarebbe poi di quasi quattro punti in Europa senza il contributo di Spagna e Portogallo dove i sovranisti sono quasi assenti e i socialisti ancora forti.
Per fare il raffronto il Corriere ha messo a confronto i sondaggi e gli ultimi risultati elettorali, se recenti come in Italia o in Olanda. Questi valori sono stati pesati in proporzione all’importanza di ogni Paese in una Ue da 446 milioni di abitanti (senza la Gran Bretagna, che non parteciperà alle europee). Va detto che i due gruppi, progressisti e sovranisti, per certi aspetti sono disomogenei: i partiti di centrosinistra aderiscono alla stessa famiglia europea dei Socialisti e democratici, mentre la destra radicale ha varie differenze al proprio interno. Solo alcuni partiti, come Jobbik in Ungheria e Alba Dorata in Grecia, sono apertamente razzisti. Inoltre la destra sovranista all’Europarlamento non entra tutta nello stesso gruppo e dunque difficilmente costituirà la seconda delegazione più grande. L’ungherese Fidesz del premier Viktor Orbán per esempio fa parte del Ppe di Angela Merkel anche se è xenofoba e si trova al cuore di un sistema definito «democrazia illiberale» dal suo stesso premier. Invece altri partiti di destra radicale, dal Front National francese (da ieri Rassemblement National) alla tedesca Alternative für Deutschland, a Strasburgo siedono nel gruppo Europa delle Nazioni e delle Libertà (di cui è vicepresidente Matteo Salvini della Lega). Il fatto che quest’area di opinione abbia superato i progressisti avrà comunque conseguenze: in Polonia, Ungheria e Austria la destra-destra governa già, mentre in Germania, Olanda o Italia induce buona parte del sistema politico a inseguirla sui propri temi e conquista un’influenza che va oltre i voti.
Era forse inevitabile, visti alcuni sviluppi recenti. C’è stato il crollo dei socialisti in Francia, poi il declino del Pd in Italia e l’affermazione della Lega. In Germania intanto AfD è salita ancora nei sondaggi e ora tallona una declinante Spd. Conta poi anche che la Ue non voglia o non riesca a far rispettare i principi dello Stato liberale di diritto in Ungheria e Polonia. E con l’uscita del Labour Party britannico dalla Ue, il gruppo di S&D perderà quella che nel 2019 sarebbe stata la sua componente maggiore.
La politica europea sta cambiando volto. Quali sembianze assumerà, per adesso, è chiaro com’era lo sbocco della crisi finanziaria subito dopo il crollo di Lehman Brothers.
FONTE: Federico Fubini, CORRIERE DELLA SERA[1]
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