Altra economia. I contadini indipendenti fanno rete

by Marina Ghantuz de Cubbe | 8 Marzo 2018 10:22

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Grosse e gustose, nel piatto ne entrano solo quattro. Sono le olive di Nocellara del Belice che ogni anno vengono raccolte da centinaia di lavoratori, soprattutto africani, costretti a vivere nel ghetto di Campobello di Mazara. Qui nell’ottobre del 2013, un ragazzo di 26 anni moriva nel silenzio generale avvolto dalle fiamme mentre cercava di accendere un fornello malandato. In quel periodo nel ghetto si sono conosciuti, durante alcune assemblee, una decina di italiani e senegalesi, ragazze e ragazzi che hanno deciso di creare qualcosa di diverso: ContadinAzioni adesso produce olive e pomodorini secchi in autonomia, senza dover sottostare alle logiche di sfruttamento imposte dalla grande distribuzione organizzata.

Questa è la realtà più a sud di Fuori Mercato, una rete di produttori agricoli, operai, attivisti, migranti e italiani che dalla Sicilia alla periferia industriale di Milano hanno costruito un sodalizio a partire dalle pratiche: autogestione, mutualismo, rispetto delle condizioni di lavoro sui campi come in fabbrica.
«Ora fare militanza significa lavorare la terra autonomamente», spiega Martina Lo Cascio di ContadinAzioni. Bracciante, ricercatrice, attivista: la tesi di dottorato l’ha fatta lavorando nei campi e vivendo nel ghetto dove ha capito che il modo di fare sindacato doveva cambiare. A Campobello il caporale è difeso dai braccianti e le famiglie dei «napoletani» che dagli anni ’50 imponevano il prezzo delle olive sfuse, adesso devono a loro volta sottostare ai dettami della gdo. Invece, ContadinAzioni ha creato un circuito indipendente sul fronte della distribuzione e grazie al sostegno di un’altra realtà Fuori Mercato come SOS Rosarno, tra Campobello e Partinico coltiva i campi in modo biologico.

Risalendo la penisola verso un’altra terra del Sud come la Calabria, ad invadere gli occhi sono gli aranceti della piana di Gioia Tauro dove nel 2010 non fu un fornello a scoppiare, ma un’arma ad aria compressa puntata contro alcuni migranti. Durante i giorni della guerriglia, a Rosarno c’era chi, invece di sparare, insieme alla Medici Senza Frontiere distribuiva coperte: «Le ho ritrovate a Roma alla stazione Termini dove in molti hanno dovuto dormire per settimane». Peppe Pugliese fa parte di SOS Rosarno, un progetto nato anche dalle assemblee all’ex Snia di Roma con i ragazzi africani che lì avevano trovato ospitalità: «Vendere clementine e olio ad un prezzo giusto per poter fare contratti di lavoro regolari. Dovrebbe essere la normalità e invece è triste che sia rivoluzionario».

Da quel momento hanno iniziato a lavorare con SOS Rosarno alcuni ragazzi che finalmente sono riusciti a uscire dai ghetti e si è creato un sodalizio tra una quindicina di produttori che hanno creato un altro mercato. Perché il problema, spiega Peppe, non è il caporalato ma ciò che lo genera: «Fin quando il produttore percepirà pochi centesimi al chilo per i suoi prodotti le possibilità sono tre: abbandonare la terra; sperare nell’esproprio dello Stato in cambio di soldi; sfruttare qualcuno che è più debole per risparmiare sui costi».
La rete Fuori Mercato continua in Puglia: a Bari e Nardò circa 40 persone tra migranti e italiani seminano, raccolgono e poi trasformano i pomodori in 20 mila vasetti di salsa SfruttaZero da distribuire. Non nei supermercati, ma direttamente alle famiglie, o attraverso punti di raccolta di vari gruppi d’acquisto solidali sparsi in tutta Italia.

Quanto sia concreto il mutualismo che c’è dietro a tutto ciò lo sa Moro che è scappato dalla Libia 7 anni fa, è arrivato a Lampedusa e poi è finito nel Cara di Bari. Anche qui nel 2010 scoppiarono le rivolte per le condizioni in cui erano costretti a vivere i migranti; in molti, tra cui Abu Moro, sono poi andati a lavorare nei campi, a Foggia: «Non potevo vivere senza acqua né luce, aspettando che arrivasse il caporale. Sono tornato a Bari e ho incontrato i ragazzi di Solidaria che avevo conosciuto durante le proteste. Abbiamo deciso di fondare SfruttaZero e adesso lavoriamo per 8 euro all’ora, non a cassetta».
Sui campi come negli spazi abitativi autogestiti, l’obiettivo di SfruttaZero è quello di creare un percorso comune che tenga insieme la dignità e il soddisfacimento dei bisogni di ognuno. Per farlo, secondo Gianni De Giglio, «servono le pratiche: la delega va superata e tutti devono essere in grado di esprimere la propria soggettività. Lo sfruttamento porta alla frammentazione, invece qui si lavora insieme, non c’è differenza di salario né con i migranti né con le donne».

Proprio le donne di Non Una Di Meno hanno partecipato per la prima volta al quinto incontro nazionale di Fuori Mercato, che si è svolto a dicembre alla Rimaflow. La fabbrica di Trezzano sul Naviglio è autogestita dagli operai licenziati nel 2012 e funge da centro di distribuzione dei prodotti.

L’idea di costruire una rete nazionale è nata nel 2014 dall’incontro tra questi operai e gli agricoltori di SOS Rosarno. Le altre realtà si sono aggregate negli anni e in tutto sono una ventina: da Terranostra che a Casoria ha deciso di occupare quattro ettari di terra che circondano un deposito militare abbandonato; alla fattoria senza padroni di Mondeggi (Firenze), occupata in opposizione alla privatizzazione dei terreni.
Non si tratta di creare un’isola felice, ma di guardare e allargare la rete a movimenti internazionali come quello dei Sem Terra brasiliani e della via Campesina o a realtà culinarie come Mshikamano a Milano. Realizzare un’alternativa va di pari passo al carattere sindacale di Fuori Mercato. Secondo Gigi Malabarba, operaio della RiMaflow, «man mano che aumenta la sovranità alimentare nei territori togliamo spazio alla grande distribuzione organizzata. Allo stesso tempo, supportiamo le vertenze e le manifestazioni dei migranti, dei lavoratori della logistica, delle donne».

FONTE: Marina Ghantuz de Cubbe, IL MANIFESTO[1]

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  1. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

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