Nel labirinto dei seggi del Rosatellum
Uniti alla lentezza dello scrutinio, hanno allontanato ogni certezza sui numeri del parlamento, sui quali pure si basano tutti le previsioni di possibili maggioranze. Per il senato una stima è possibile e testimonia di un centrodestra a un passo dall’autosufficienza
Se le elezioni hanno rivoltato lo stivale come fosse un calzino, almeno una conferma c’è. È il Rosatellum, la nuova legge elettorale, che si conferma pessima. Lo si era detto e ripetuto nelle settimane precedenti al voto, persino da parte di chi questa legge ha voluto e imposto con la fiducia (Renzi, Salvini e Berlusconi), ma adesso si può dire a ragion veduta. Tra i suoi critici più recenti c’è chi avrebbe voluto una più forte dose di maggioritario, e magari avendo perso la sfida nel collegio si deve aggrappare al proporzionale per entrare in parlamento.
L’EFFETTO MAGGIORITARIO non sembra essere il problema della legge, anche perché è previsto dalle sfide uninominali che hanno penalizzato il secondo partito (il Pd) che è risultato terzo con grande distacco nei collegi. E poi oltre tre milioni di voti – quasi il 10% dei voti validi – sono andati a liste rimaste sotto la soglia del 3% e dunque sono stati redistribuiti agli altri con effetto maggioritario. Due difetti evidenti della legge sono invece riscontrabili nella difficoltà di scrutinio, con sezioni ancora aperte e molti voti contestati, e soprattutto nelle complicate operazioni necessarie ad assegnare i seggi, ieri sera lontane dall’essere concluse.
E così tutti i ragionamenti sulle possibili combinazioni in parlamento sono andati avanti in assenza di un’informazione fondamentale: il numero di seggi assegnati alle liste e alle coalizioni. Non un dettaglio visto che nessuna, eventuale, maggioranza sarà tanto larga da poter trascurare le unità. Le regole sulla ripartizione dei voti tra liste, lo slittamento dei seggi tra circoscrizioni per non parlare dell’individuazione degli eletti hanno impedito al Viminale di fornire certezze; per avere qualche indicazione bisognava arrangiarsi da soli. Operazione possibile per il senato che a un certo punto del pomeriggio di ieri presentava una situazione quasi definita dello scrutinio, quasi perché otto sezioni nel Lazio sono rimaste aperte fino alla notte – la seconda notte. Con l’esclusione dei sei seggi esteri (attribuiti in maniera proporzionale, si profila un leggero vantaggio del Pd sul centrodestra con M5S terza forza), la situazione può essere riassunta in questo modo: al centrodestra mancano tra i venti e i venticinque voti nella camera alta per avere la maggioranza, fissata in 161 voti. Il Movimento 5 Stelle si ferma a 110 seggi e il Pd alla metà circa.
NEL DETTAGLIO il calcolo dei seggi uninominali è abbastanza semplice, basta contare chi ha vinto le sfide (58 centrodestra, 44 M5s e 14 Pd), mentre assai più complesso è il calcolo dei seggi proporzionali, che al senato dovrebbero essere questi: 68 seggi ai 5 Stelle, 41 al Pd, 37 alla Lega, 31 a Forza Italia, 9 a Fratelli d’Italia e 7 a Liberi e Uguali. Proprio il risultato della lista di sinistra illumina le stranezze del Rosatellum. Con il semplice calcolo dei resti nelle circoscrizioni, LeU ha conquistato un solo senatore: Vasco Errani in Emilia Romagna 1 (si tratta del cosiddetto «paracadute» per aver perso la sfida con casini nell’uninominale). Ma il calcolo nazionale assegna invece alla lista di Grasso altri senatori, che quindi vanno cercati nelle circoscrizioni dove altre liste – quasi sempre la Lega – ne hanno più di quanti le spettano a livello nazionale. È così che viene recuperato lo stesso Grasso.
Una volta entrati nei risultati del proporzionale, si ricavano conferme della travolgente cavalcata grillina. Ad esempio il fatto che proprio tutti i candidati a 5 Stelle in Sicilia sono stati eletti. I grillini hanno vinto le nove sfide uninominali nell’isola e hanno conquistato anche otto senatori nel proporzionale, cioè tutti quelli del listino sia in Sicilia 1 che in Sicilia 2 (non si può ancora escludere che debbano cedere un posto a una lista “deficitaria” quale la stessa LeU). Anche la Lega ha conquistato un seggio nel proporzionale in Sicilia, peraltro con lo stesso Salvini (plurieletto), come in tutte le altre regioni del sud con l’eccezione della Calabria.
IN TERMINI GENERALI e sommando i voti assoluti sul territorio nazionale, è indubbiamente Salvini quello che ha colto il successo più grande. Se i 5 Stelle sono cresciuti nel confronto con il 2013 di poco più di un milione e mezzo di voti, la Lega lo ha fatto di oltre quattro milioni, in pratica triplicando i consensi. Ma il suo sorpasso su Forza Italia si spiega soprattutto con il crollo continuo degli azzurri, che già nel 2008 aveva perso circa un elettore su due. Adesso hanno perso un altro terzo abbondante di voti, che significa 2,8 milioni di voti in meno. Se solo avesse confermato il dato di cinque anni fa il partito di Berlusconi sarebbe rimasto sopra l’alleato leghista. Senza appello la sconfitta del Pd, che in cinque anni ha lasciato a casa qualcosa come 2,5 milioni di voti (abbondanti).
PER ATTENUARE l’effetto della caduta, il partito di Renzi ha potuto approfittare di uno dei tanti «trucchi» del Rosatellum, ricevendo in dono per la parte proporzionale circa 800mila voti della lista +Europa, rimasta sotto la soglia del 3% (inutili invece i consensi di prodiani ed ex alfaniani, che non hanno superato lo sbarramento dell’1%). Un vantaggio simile si è riproposto nel centrodestra, ma in misura minore (i voti della lista rimasta sotto il 3% sono stati circa la metà, 400mila) e soprattutto divisa per tre, tra Salvini, Berlusconi e Meloni.
L’analisi sullo spostamento dei voti, in queste ore ancora sommaria, non può che partire dall’ulteriore diminuzione dell’affluenza, caduta di 2,3 punti percentuali dal 2013. Non in maniera omogenea, visto che la partecipazione è persino cresciuta in alcune regioni del sud – dove ha fatto il pieno il M5S – ed è calata di più al nord e al centro (probabilmente a danno di Forza Italia e Pd).
L’Istituto Cattaneo ha comunque fornito una prima analisi dei flussi elettorali, destinata a essere perfezionata già oggi, sulla base dei risultati in alcune città. Le conclusioni dei ricercatori sono che il Pd «perde quote rilevanti di voti a favore del M5S e spesso anche della Lega, dell’astensione e di LeU». Il Movimento 5 Stelle, invece, oltre a conquistare voti sia a destra che a sinistra al sud, al nord e al centro perde in qualche caso elettori verso la Lega. Lega che in definitiva «è risultata attrattiva a 360 gradi, riuscendo a rubare voti non solo al suo alleato ma anche ai 5 Stelle e talvolta anche al Pd».
FONTE: Andrea Fabozzi, IL MANIFESTO
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