by Massimo Franchi | 5 Marzo 2018 10:08
Era la vera novità di queste elezioni. Verrà ricordato come la causa dei ritardi, delle code, degli errori accaduti un po’ in tutta Italia e perfino all’estero. Il tagliando antifrode inserito sulla scheda per evitare brogli si è rivelato un vero autogol per il viminale, specie per farraginosa procedura e la poca informazione data agli elettori, dimostrata peraltro anche da numerosi scrutatori e presidenti di seggio. Il codice progressivo alfanumerico veniva annotato accanto al momento della consegna della scheda a fianco del documento personale. Poi, usciti dalla cabina elettorale, il cambiamento principale: le schede andavano consegnate al presidente, non inserite direttamente nell’urna. Il motivo è presto detto: dalla scheda andava strappato lo stesso codice dopo aver controllato che l’elettore non si fosse portato la scheda da casa.
In pochi lo sapevano. Compreso Pierluigi Bersani che a Piacenza ha inserito le schede nelle urne senza che gli scrutatori lo fermassero. “Il tagliando andava…”, lo ha ripreso la segretaria della sezione alludendo al fatto che doveva essere controllato il numero sul bollino delle schede per poi rimuoverlo. “Vabbe’ e’ lo stesso, mi scusi. Poi lo togliamo dopo”, è stata la soluzione adottata.
Per ovviare ai ritardi dal pomeriggio una sorta di passaparola dal viminale ha autorizzato anche i vicepresidenti dei seggi a compiere le operazioni connesse al bollino. In contemporanea è arrivata la dichiarazione di colui che ha dato il nome alla nuova legge – e al sistema di voto. Ettore Rosato si è subito chiamato fuori: “Il tagliando antifrode è stato votato all’unanimità”. Poi la precisazione quasi da ministro dell’interno in deroga: “Non e’ prevista la trascrizione a mano del numero della scheda, bastava prevedere solo etichette autoadesive”. Magari doppie, per evitare di trascriverle all’ingresso. Ma, come si sono detti migliaia di italiani in fila, nessuno ci ha pensato. E la frittata è fatta.
Tanto che a metà pomeriggio il comune di Roma ha invitato gli elettori a presentarsi ai seggi non dopo le 22. E cioè un’ora prima della chiusura dei seggi, sebbene per legge potesse votare chiunque arrivato al seggio entro le 23, come puntalmente è successo, rallentando i tempi dell’apertura delle urne e quindi dei risultati.
Molto peggio è andata a Castelnuovo di Porto. Nel comune a nord di Roma arrivano tutte le schede degli italiani all’estero che hanno votato per corrispondenza o nelle ambasciate e nei consolati.
Al Centro polifunzionale della Protezione civile hanno sede i 700 seggi che compongono il Collegio per l’estero per i 4,3 milioni di italiani all’estero.
Il caos è iniziato già nel primo pomeriggio. Fra presidenti, scrutatori, rappresentanti di lista, tecnici e forze dell’ordine oltre 10mila si sono ammassate sulle strade del piccolo comune, bloccando tutte le vie d’accesso con tempi di percorrenza di oltre 3 ore. Questo ha ritardato la preparazione dei seggi con ricerca affannata di nuovi presidenti e scrutatori. Alle 20 la maggior parte dei seggi non aveva ancora il personale per iniziare a lavorare.
Il loro livello di conoscenza delle procedure si è poi rivelato assai basso. Ai vari seggi – suddivisi per paese di provenienza delle schede – arrivavano due bustone: una con i dati dei votanti e una con le schede vere e proprie. La procedura prevedeva che fossero gli scrutatori a dover controllare che i votanti fossero tra gli aventi diritto e poi iniziare lo scrutinio delle schede. Molti presidenti invece hanno iniziato facendo il contrario, mettendo a rischio la regolarità dello spoglio. «Molti seggi non verificano l’effettiva corrispondenza del tagliando assegnato a ogni elettore con l’iscrizione nel registro. Inoltre, ancor più grave è l’apertura in anticipo di centinaia di schede, un’operazione da fare a partire dalle 23. Si tratta di gravi violazioni delle procedure che non stanno rispettando non solo la legge, ma il diritto di voto degli italiani all’estero», denuncia Alessandro Fusacchia, rappresentante di lista per +Europa.
FONTE: Massimo Franchi, IL MANIFESTO[1]
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