Sex workers, la legge Merlin alla Consulta
Il giudice: «Il fenomeno delle escort professionali cambia tutto»
Provate a dirlo in inglese. Non prostitute, ma sex workers. Oppure escort, come da autodefinizione di Patrizia D’Addario nel suo libro di qualche anno fa: «La escort più famosa del mondo». Ed ecco che le donne che tra il 2008 e il 2009, attraverso Gianpaolo Tarantini e i suoi amici, parteciparono alle «cene eleganti» di Silvio Berlusconi, potrebbero mettere in crisi la legge Merlin. A sessant’anni esatti dalla chiusura dei casini e dalla messa fuori legge di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. Almeno ne è convinta la Corte d’appello di Bari che ieri ha interrotto il processo di secondo grado a «Gianpi» Tarantini e ad altri, tra i quali Sabina Began, «l’ape regina» delle feste di Arcore, per chiamare in causa la Corte costituzionale.
«Il fenomeno sociale della prostituzione professionale delle escort costituisce la novità che richiede un nuovo vaglio di costituzionalità della legge Merlin», scrive il giudice Adolfo Blattmann nella prima ordinanza che porta davanti alla Consulta la sostanza di una legge che è un pezzo di storia d’Italia. In precedenza, per sette volte (ma l’ultima nel 1985), i giudici delle leggi hanno respinto ogni dubbio – sollevato sempre sull’entità delle pene. La terza sezione penale di appello di Bari, presidente Marcello De Cillis, sostiene invece che la legge Merlin – oltre al principio di legalità penale, in base al quale non devono essere puniti i fatti non socialmente pericolosi – va contro un diritto inviolabile della persona (articolo 2 della Costituzione) e la libertà di iniziativa economica (articolo 41).
In primo grado Tarantini è stato condannato a sette anni e dieci mesi per reclutamento e favoreggiamento della prostituzione, in pratica per aver chiamato e successivamente accompagnato una trentina di donne negli appartamenti di Berlusconi ad Arcore e a Roma. A pene minori sono stati condannati Massimiliano Verdoscia, Peter Faraone e Sabina Began. Secondo la ricostruzione della procura di Bari accolta dai giudici, Tarantini ha organizzato gli appuntamenti per ottenere in cambio di essere inserito in un giro di relazioni e affari con la protezione civile e importanti aziende pubbliche. Il fatto che sia stato Tarantini a pagare le donne avrebbe consentito all’allora ex presidente del Consiglio di credere nel disinteresse delle sue ospiti. Ma è stata proprio l’accusa a insistere sul fatto che tutte le donne erano mosse dal desiderio di conoscere il presidente del Consiglio. Caduta l’accusa di induzione alla prostituzione, il primo grado si è concluso con il rifiuto del tribunale a riconoscere un risarcimento del danno alle escort.
Nell’ordinanza che solleva le questioni di legittimità, la corte di Bari parte dalla libertà di autodeterminazione sessuale, citando una sentenza della Corte costituzionale dell’87 (redatta da Ugo Spagnoli) secondo la quale la sessualità è «uno degli essenziali modi di espressione della persona umana» e «il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto» tutelato dall’articolo 2. La scelta dunque di «gestire la propria corporeità in cambio di vantaggi patrimonialmente apprezzabili» è garantita dalla Costituzione e «qualsiasi interferenza normativa che confligge con la pienezza della sua estrinsecazione» deve essere considerata incostituzionale. A partire dunque dall’articolo 3 della legge Merlin, nella parte in cui punisce il reclutamento e il favoreggiamento della prostituzione anche quando volontariamente e consapevolmente esercitata.
In definitiva, secondo l’avvocato Ascanio Amenduni che difende Verdoscia, «lo stato deve prendere atto che esiste una prostituzione libera e volontaria. Del resto nel 2013 anche la sezione tributaria della Cassazione ha stabilito che i ricavi di questa attività sono soggetti a tassazione». Secondo la Corte non è neanche rilevante che Tarantini abbia o meno conseguito un vantaggio economico, perché «se la escort sceglie liberamente di offrire sesso a pagamento, chi le dà una mano nell’effettuazione di tale sua scelta produce un vantaggio e non un danno al bene giuridico tutelato», cioè la libertà di autodeterminazione sessuale. Quando la scelta delle escort è libera – altrimenti si ricadrebbe nel reato di induzione, che non è messo in questione – sanzionare l’intermediazione equivarrebbe a «ghettizzare una peculiare forma di lavoro autonomo».
Il giudice Blattmann riconosce che la vera finalità della legge Merlin non è la protezione del buoncostume, che si è evidentemente evoluto, ma proprio «la tutela della libertà e autodeterminazione della prostituta» e per questo spiega che «tale libertà non può tollerare limitazioni alla pienezza del suo consapevole esercizio». Arrivando a un paragone ardito: «La salvaguardia del principio di libera autodeterminazione» e «l’esigenza di tutela della dignità umana» nel caso delle escort meriterebbero lo stesso riconoscimento ottenuto, infine, «nel caso Englaro». «Si tratta di un’ordinanza storica che afferma la laicità dello stato», commenta l’avvocato Nicola Quaranta che difende Tarantini.
Sul caso Berlusconi la decisione della Consulta avrà invece solo un effetto indiretto. L’ex presidente del Consiglio resta indagato a Bari (dove il gup deciderà sul rinvio a giudizio dopo le elezioni) e a Milano con l’accusa di aver pagato Tarantini e le donne per indurli a mentire ai giudici. I procedimenti andranno avanti comunque. Berlusconi potrebbe aver intralciato la giustizia anche se la Consulta dovesse decidere che intermediare l’attività delle sex workers non è reato.
FONTE: Andrea Fabozzi, IL MANIFESTO
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