by Luca Pakarov | 10 Febbraio 2018 9:44
MACERATA. Nel quartiere dominato dal grande complesso della Comunità Salesiana, c’è un edificio colorato da murales dove ha sede il centro sociale Sisma. All’interno, davanti al dipinto con Jack Nicholson al bancone in Shining, un andirivieni di compagni, altri sono inginocchiati intenti a disegnare gli striscioni che oggi sfileranno per le vie della città.
Da qui, nonostante il divieto della prefettura, sin da subito è partita la ratifica che la manifestazione si sarebbe svolta, dopo l’incredibile presa di posizione delle autorità che hanno posto sullo stesso piano Casa Pound, Forza Nuova e gli antifascisti. A quel punto sono piovute centinaia di adesioni anche dalle singole sedi delle associazioni che si erano defilate ufficialmente. Ciò è accaduto probabilmente anche per un’attenzione per niente scontata: il Sisma, comunicando fermamente di voler comunque scendere in strada, non ha rimproverato le segreterie nazionali di Anpi, Cgil, Libera e Arci che avevano deciso di chiamarsi fuori, ma ha affrontato frontalmente i diktat del sindaco Romano Carancini e del ministro Minniti.
Organizzare un grande corteo in una piccola città, dopo quanto è successo, significa avere senso di responsabilità. Un attributo che sorge da lontano, da più di vent’anni di storia, da quando nel ’97, dopo il terremoto, un’associazione si è riunita per richiedere l’uso di un ex asilo. L’asilo, dove fra l’altro alcuni del collettivo hanno mosso i primi passi da bambini, ora è frequentato da attivisti che vanno dai 20 ai 50 anni: ci sono disoccupati, precari, studenti, architetti o avvocati. Un forte senso di aggregazione evidenziato anche dal festival che ogni anno si svolge in memoria di David, un compagno scomparso.
Uno spazio sociale autofinanziato che si trova a pochi metri da una delle strade dove oggi passerà il corteo, e in cui si svolgono concerti, laboratori, presentazioni di libri, cene per raccolta fondi e festival sulla musica e l’editoria indipendente. Un attivismo politico e una vitalità che, malgrado la realtà di provincia, li ha visti sempre in prima linea. Due di loro, cresciuti politicamente nel Sisma, sono stati eletti in consiglio comunale con la lista civica «a sinistra per Macerata» che sosteneva il sindaco. Bene è specificare che nessuno ne ha fatto una carriera.
Se tanti centri sociali d’Italia hanno chiuso battente o non richiamano più l’attenzione di una volta, il Sisma è riuscito a rilanciarsi puntando sul principio che l’idea può diventare pratica, confidando sulla forza delle relazioni sociali in provincia: «La ricchezza del Sisma – ci dicono – è che non siamo slegati dalla città, conosciamo praticamente tutti e insieme possiamo toccare con mano tematiche ambientali, culturali o anche quelle meno politiche, portando e ricevendo esperienze e idee. L’importante è non evitare la complessità». Da un anno, con la rete Terre in Moto e insieme ad altre e diversificate realtà, i ragazzi del Sisma fanno raccolta fondi, creano eventi e monitorizzano i lavori per la ricostruzione dell’entroterra colpito dal terremoto dell’ottobre 2016. Ultimamente al Sisma ci sono stati diversi laboratori sulla narrazione dove hanno analizzato i condizionamenti della comunicazione e i passaggi con cui si ricostruisce una storia. Prima di salutare, qualcuno ci dice: «Il motore delle storie, ciò che fa partire un racconto, è il conflitto». Una rottura che a Macerata c’è stata e bisogna ripartire.
FONTE: Luca Pakarov, IL MANIFESTO[1]
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2018/02/macerata-centro-sociale-sisma-travolto-dalle-adesioni-radicato-sul-territorio/
Copyright ©2024 Diritti Globali unless otherwise noted.