by Carlo Lania | 24 Febbraio 2018 11:17
Il Sahel è ormai destinato a diventare sempre più il cortile di casa dell’Unione europea. Lo si è capito ieri a Bruxelles dove si è tenuta la Conferenza internazionale sulla sicurezza e lo sviluppo del Sahel con i leader europei e i capi di stato di Mauritania, Niger, Ciad, Burkina Faso e Mali. L’Europa ha deciso di stanziare ulteriori 50 milioni di euro – dopo i 50 già investiti a giugno 2017 – da destinare al G5, la neonata forza multinazionale formata dai cinque Paesi della regione. Un contributo che sommato a finanziamenti già stanziati da donatori internazionali (tra i quali Arabia saudita ed Emirati Arabi con complessivi 130 milioni, Stati uniti con 60, Francia con 8 e Paesi Bassi con 5) porta a un totale di 414 milioni di euro il fondo su cui può contare la forza militare, destinata principalmente a operazioni di contrasto al terrorismo jihadista. Cifra che dovrebbe soddisfare il presidente nigerino, e presidente di turno del G5 Sahel, Mahamadou Issoufou, che aveva stimato in 423 milioni di euro i soldi necessari per il primo anno di attività della forza multinazionale e in 115 milioni il fabbisogno per gli anni successivi. Con l’ulteriore richiesta all’Europa di rendere stabile l’aiuto economico. «Non sappiamo quanto durerà questa lotta al terrorismo. Per questo occorre pensare a come rendere perenne questo finanziamento», ha spiegato ieri Issoufou.
Era stato il presidente francese Emmanuel Macron, alla vigilia dell’incontro di ieri, a chiedere all’Europa un ulteriore sforzo economico per sostenere il G5 Sahel. La Francia ha da tempo 4.000 soldati impegnati nella regione con la missione Barkhane, sempre più spesso nel mirino di attentati. L’ultimo, appena tre giorni fa, ha visto morire in Mali due militari e un terzo rimanere ferito per l’esplosione di una bomba artigianale. Attentato che ha rafforzato i programmi del presidente francese che vorrebbe riportare gradualmente a casa i suoi soldati per lasciare il campo ai soli africani.
«Il nostro obiettivo è di avere la forza congiunta operativa già a marzo, quindi la prossima settimana», ha detto ieri l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue Federica Mogherini. Obiettivo che può tornare utile anche in vista delle imminenti elezioni italiane, come ha sottolineato il premier Paolo Gentiloni convinto che interventi come quelli che l’Europa sta facendo in Africa possano servire anche per fermare il populismo dilagante.
Nel Sahel saranno presenti presto anche i soldati italiani, Entro giugno è infatti previsto l’arrivo in Niger dei primi 270 militari con base all’aeroporto di Niamej. Una presenza che va ad aggiungersi a quelle di Francia, Stati uniti e Germania che già si trovano sul posto, ma che non prevede – almeno per ora – scontri con le formazioni terroristiche attive nella regione, bensì solo attività di addestramento delle forze di sicurezza nigerine nel contrasto dell’immigrazione irregolare. Il Sahel resta comunque una regione alla quale l’Europa guarda con particolare attenzione, come ha fatto capire sempre ieri il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, ricordando come un quinto della popolazione della regione sia a rischio fame e cinque milioni di persone siano costrette a lasciare le proprie case a causa dei conflitti in corso. Senza contare che i tre quarti della popolazione dell’area ha meno di 35 anni. «Per questo sicurezza e sviluppo devono marciare insieme», ha detto Juncker. Un binomio sul quale l’Europa sembra però concentrata per ora soprattutto sulla prima parte.
FONTE: Carlo Lania, IL MANIFESTO[1]
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