Intervista a Fulvio Vassallo Paleologo. Le politiche migratorie europee e la fabbrica della paura
Le uniche proposte serie in materia di immigrazione, sostiene l’avvocato Fulvio Vassallo Paleologo, dovrebbero essere quelle che prevedono la possibilità di ingresso legale per lavoro o di successiva regolarizzazione, l’apertura di canali legali di ingresso per i richiedenti asilo, il superamento dell’iniquo Regolamento Dublino, e una disciplina di effettiva tutela per i minori isolati e le vittime di tratta, con una riduzione dei poteri conferiti anche in questo campo alle forze di polizia. Purtroppo, avverte, dobbiamo prendere atto che si sta seguendo una direzione opposta.
Redazione Diritti Globali: Inizierei chiedendoti come è cambiata la politica sull’immigrazione dell’Italia, soprattutto dal 2015. E in questo contesto che giudizio dai della recente legge Minniti.
Fulvio Vassallo Paleologo: Non si può parlare di una “legge Minniti” ma di una politica complessiva del ministero dell’Interno che è passata attraverso la legge n. 46 del 2017, con la quale si sono ridotti i diritti di difesa dei richiedenti asilo denegati e si sono introdotte previsioni più rigorose in ordine alla detenzione e all’espulsione dei migranti irregolari. In questo caso, però, si è rimasti a livello di provvedimenti amministrativi e il progetto Minniti è fallito, perché gli Hotspot non sono stati ampliati, i nuovi centri di detenzione denominati CPR (Centri Per i Rimpatri) non sono mai partiti e l’efficacia delle politiche espulsive dell’Italia è rimasta molto bassa. L’impegno del governo si è concentrato nella riduzione del welfare riconosciuto ai richiedenti asilo e sull’espulsione del maggior numero di persone dal sistema di accoglienza, senza però garantire una condanna dei gestori che hanno truffato lo Stato. Di fatto, la politica del governo italiano ha aumentato il numero delle persone condannate a una situazione di irregolarità. Irresponsabile il comportamento nei confronti dei minori non accompagnati e delle vittime di tratta, per i quali non si è adottato nessun serio provvedimento di integrazione, al di là di piani che sono rimasti sulla carta.
RDG: Allo stesso tempo, come è cambiata la politica sull’immigrazione dell’Unione Europea? Perché questa corsa alla militarizzazione delle frontiere, da un lato, e il progressivo abbandono di politiche propriamente umanitarie, o in difesa dei diritti dei migranti e profughi, dall’altro?
FVP: La politica della militarizzazione delle frontiere è stata affidata agli Stati più esterni, con l’Italia che ha gestito i rapporti con il governo di Tripoli e la Grecia che ha dato attuazione, con una nuova legge, agli accordi segreti tra Unione Europea e Turchia. L’attacco alle ONG che operavano soccorsi umanitari, prima nell’Egeo e poi nel Mediterraneo centrale, è stato un tassello centrale della politica di esternalizzazione dei controlli e di militarizzazione delle frontiere marittime.
Nessuno si chiede dove ci porteranno le strategie militari che in questi anni sono state adottate per garantirci la difesa dei confini, come presupposto per sicurezza e ordine. Il caso della Libia è esemplare. Nessuno fa un bilancio obiettivo di un periodo nel quale si sono abbattute molte garanzie individuali, ma non si è riusciti a estirpare la mala pianta del terrorismo. Ci manca solo che qualcuno torni a collegare terrorismo e immigrazione di massa. Nessuno che si chieda dove e perché si è fallito. È più facile rimettere in moto la macchina della paura e incassare il massimo vantaggio elettorale.
RDG: La Turchia è Paese chiave, insieme alla Grecia, di questo cambio nella politica dell’Unione Europea. Che cosa ci guadagnano Turchia e Grecia facendo i gendarmi della UE? Davvero solo soldi?
FVP: La Grecia dal punto di vista delle politiche migratorie, e non solo, è di fatto un Paese commissariato dall’Unione Europea e da Frontex, che in molte realtà sostituisce la Guardia di frontiera greca. Naturalmente non si tratta soltanto dei sei miliardi di euro pagati a Recep Tayyip Erdogan. Per il presidente turco c’è il vantaggio della possibilità di semplificare il regime dei visti e di avere mano libera nella repressione contro i kurdi. Per i greci si tratta di pura sopravvivenza all’interno dell’Unione Europea, con la popolazione affamata e con il dilagare di spinte populiste e xenofobe che in alcuni casi, come a Lesbo, si sono rivolte anche contro gli operatori umanitari che assistevano i profughi siriani.
RDG: In questo senso, anche rispetto alla Libia si è dato un cambio in quest’ultimo paio d’anni. Ed è evidente che ci sono interessi economici, strategici e geopolitici legati a questo cambiamento. Italia e Francia, soprattutto. Dopo aver distrutto la Libia, adesso cercano di avere un ruolo di “controllo”, più che sui flussi migratori, sulle risorse del Paese africano?
FVP: I peggiori dittatori che promettono di allearsi nella “lotta al terrore” vengono ritenuti alleati credibili e utili, anche per i rapporti economici e militari che ne possono derivare. Cosa importa se a morire sotto tortura è stato un ragazzo italiano, Giulio Regeni? Gli imprenditori scalpitano per la normalizzazione dei rapporti commerciali con l’Egitto.
La cifra di questi cedimenti è data dall’invio dell’ambasciatore italiano nell’Egitto di Abdel Fattah al Sisi, quando tutte le richieste di verità sono state eluse ancora una volta. Ma l’Egitto è un importante alleato dell’Italia nella riammissione dei propri cittadini giunti nel nostro Paese, anche se richiedenti asilo, e poi potrebbe giocare un ruolo importante nella “stabilizzazione” della Libia. In realtà, un calcolo che potrebbe rivelarsi fallimentare, anche a seguito delle ultime dichiarazioni, ostili all’Italia, del generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica.
Poi magari sono proprio dittature alleate, come quella saudita, o alcuni emirati del Golfo, ad alimentare, non solo economicamente, le organizzazioni terroristiche su scala globale. Terrorismo e globalizzazione appaiono sempre più interconnessi. Si nasconde generalmente il peso della corruzione ormai generalizzata e l’invadenza dei poteri economici internazionali sui governi dei Paesi africani. La corruzione alimenta conflitti interni, come nel caso della Libia. La sorte dei migranti rinchiusi nei lager libici sembra ormai non interessare più nessuno, eppure ne muoiono tanti anche in quelle strutture che l’Unione Europea vorrebbe moltiplicare, in un Paese, come la Libia, nel quale non c’è alcuna garanzia per l’effettivo rispetto dei diritti umani.
RDG: Come potrebbero cambiare le politiche sull’immigrazione alla luce della vittoria della Brexit?
FVP: Non vedo vicine novità in merito ai migranti provenienti da Paesi terzi. Il blocco dei lavori sul nuovo Regolamento Dublino IV esprime molto bene il ritardo delle attività legislative a livello europeo. Si procederà ancora con misure di polizia e con il rafforzamento delle agenzie di sicurezza, anche private, legate ai servizi di informazione. È questa la direzione segnata dal nuovo Regolamento sulla Guardia costiera e di frontiera europea, approvato nel settembre del 2016, uno dei pochi provvedimenti sui quali si è riusciti a raggiungere un consenso unanime, seppure con qualche distinguo, in peggio da parte dei Paesi del gruppo di Bratislava (Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca), Paesi che tengono in ostaggio le politiche migratorie europee. La Brexit potrà avere conseguenze sulla libera circolazione Schengen, ma dipenderà dalla contrattazione che si porterà avanti tra Londra e Bruxelles, i cui esiti al momento non sono prevedibili.
RDG: In questo cambio di politica, rientra anche l’attacco alle ONG? Perché questa caccia alle streghe?
FVP: Non vogliono le ONG in mare perché non solo salvano vite umane, ma sono – o meglio erano – anche un occhio libero e indipendente che monitora quanto sta accadendo in Libia. Mentre sia dalla Commissione UE sia dal governo italiano si vuole eliminare il problema immigrazione facendo in modo che i migranti restino in Libia.
RDG: Le proposte europee di revisione delle procedure di asilo contengono misure che rendono ancora più difficile non solo ottenere lo status di rifugiato pieno, ma limitano anche diritti, per esempio come quello al ricongiungimento familiare. Che commento faresti rispetto alle nuove proposte e anche rispetto al fatto che c’è una tendenza che va consolidandosi e che privilegia la concessione di protezione umanitaria (subsidiary) anziché il full refugee status?
FVP: Si vuole caratterizzare come precaria e temporanea la posizione di tutti coloro che ottengono protezione in Europa e inventare una lista vincolante di Paesi terzi “sicuri”, per potere respingere più facilmente e con procedure accelerate le richieste di asilo. A questo scopo si vorrebbe passare dallo strumento della Direttiva allo strumento del Regolamento, che ha un carattere immediatamente precettivo, ma sul quale forse anche per questa ragione non è facile trovare un accordo tra i diversi Stati membri.
In quest’ottica restrittiva si deve limitare il ricorso al ricongiungimento familiare, anche perché si vuole evitare l’integrazione e si vuole mantenere una pressione sui migranti perché ritornino prima o poi nei loro Paesi. È un modello perdente, sul piano storico, culturale ed economico, ma purtroppo sta passando con politiche della deterrenza che in molti Paesi europei sfociano nella negazione dei principi garantistici dello Stato di diritto.
RDG: Ancora in materia di politiche europee, la relocation è ovviamente un fallimento. Al di là del fatto che non si tratta di una soluzione reale, pensi che la UE sia in grado di gestire questo processo e di punire chi non lo rispetta?
FVP: La UE ha già dimostrato di non avere strumenti per sanzionare chi non accetta la Relocation, che comunque nei documenti europei rimane a carattere esclusivamente volontario, e questo esclude la possibilità di sanzioni nei confronti dei Paesi che dopo essersi impegnati non hanno più rispettato i modesti obblighi di ritrasferimento.
RDG: Vedi circolare qualche proposta seria su come affrontare, o prendere atto, di un fatto inevitabile qual è la migrazione? E mi riferisco non soltanto al fatto che bisogna evidentemente andare alle radici della questione (come le guerre promosse da chi si lamenta della migrazione). Per esempio, il Presidente della Bolivia, Evo Morales ha parlato e proposto, alla Conferenza Mondiale dei Popoli, l’idea di Cittadinanza Universale. Dice Morales: finora i diritti giuridici, economici, sociali e collettivi erano associati a uno Stato, con base territoriale e questo va mantenuto. Ma dobbiamo costruire, accanto a quei diritti, i diritti dell’essere umano: diritti di cui ciascuno di noi gode in quanto essere umano nel mondo e di cui deve godere in qualunque posto si trovi. C’è qualche consenso intorno a queste proposte? Un altro esempio potrebbe essere quello dell’Autonomia Democratica praticata dai kurdi in Rojava…
FVP: Le uniche proposte serie sono quelle che prevedono la possibilità di ingresso legale per lavoro o di successiva regolarizzazione, l’apertura di canali legali di ingresso per i richiedenti asilo, il superamento dell’iniquo Regolamento Dublino, e una disciplina di effettiva tutela per i minori isolati e le vittime di tratta, con una riduzione dei poteri conferiti anche in questo campo alle forze di polizia. Purtroppo, si sta seguendo una direzione opposta. Vedo che si sta diffondendo una deriva xenofoba che alimenta un circuito vizioso tra popolazioni, macchina dell’informazione e decisori politici, comunque condizionati dal consenso elettorale. Sono molto pessimista. Prevedo una politica di chiusura contro i migranti, il diffondersi di tensioni sociali senza precedenti, repressi con mezzi sempre più violenti da parte delle forze di polizia, e la crescita di un’area qualunquista o populista, come si dice oggi, che potrebbe spingere di nuovo alcuni Paesi europei sull’orlo del baratro del fascismo. In politica estera questo corrisponde al commercio di armi con i Paesi nei quali si combattono guerre in nome degli interessi economici occidentali, e a intese con Paesi retti da regimi dittatoriali: il caso egiziano non è l’unico, basti pensare al Sudan o all’Eritrea, per garantire una più efficace difesa dei confini esterni. Ma tutte queste misure si riveleranno fallimentari, e il loro fallimento sarà accompagnato da una debacle in termini di sicurezza interna, per la vasta area di clandestinità che ne sarà il prodotto. E dalla clandestinità possono arrivare fattori di forte destabilizzazione del tessuto sociale, anche se per adesso i fatti di terrorismo sembrano riconducibili generalmente a cittadini europei e non a immigrati.
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Fulvio Vassallo Paleologo: avvocato e componente della Clinica legale per i diritti umani dell’Università di Palermo. Opera attivamente nella difesa dei migranti e dei richiedenti asilo con diverse Organizzazioni Non Governative. Fa parte della rete europea di assistenza, ricerca ed informazione per i migranti Migreurop. È autore di numerose pubblicazioni in materia di immigrazione e asilo tra le quali. Tra cui: Obblighi di protezione e controlli delle frontiere marittime, in “Diritto, Immigrazione e Cittadinanza”, FrancoAngeli, n. 3, 2007; Il respingimento differito disposto dal questore e le garanzie costituzionali, in “Diritto Immigrazione e Cittadinanza”, FrancoAngeli, n. 2, 2009; La Guantanamo d’Europa? Il proibizionismo delle migrazioni e la violazione dei diritti fondamentali alla frontiera siciliana, in Palidda Salvatore (a cura di), Razzismo democratico, La persecuzione degli stranieri in Europa, Xbook. 2009; Donne e sbarchi a Lampedusa. Quando il disumano diventa quotidiano, in Clelia Bartoli (a cura di), Esilio/Asilo. Donne migranti e richiedenti asilo in Sicilia. Studi e storie, Duepunti Edizioni, 2010; La protezione internazionale ed il respingimento alle frontiere marittime, in Gustavo Gozzi, Barbara Sorgoni (a cura di), I confini dei diritti, Il Mulino, 2010; Il caso Cap Anamur. Assolto l’intervento umanitario, in “Diritto, Immigrazione e Cittadinanza”, FrancoAngeli, n. 2, 2010; Diritti sotto sequestro. Dall’emergenza umanitaria allo stato di eccezione, Aracne, 2012; L’Italia non è un Paese sicuro per richiedenti asilo, in “Questione Giustizia”, Osservatorio internazionale, ottobre 2013; Da rifugiati a sorvegliati speciali: i diritti violati dei tamil in Europa, in Oltre la nazione. Conflitti postcoloniali e pratiche interculturali. Il caso della diaspora tamil, a cura di Giuseppe Burgio, Ediesse, 2014.
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Qui un articolo sul Rapporto, a pag. 4 di ARCI-Report n. 37
Qui un articolo sul Rapporto, da pag. 13 di Sinistra Sindacale n. 21
Qui un’intervista video a Sergio Segio e Susanna Ronconi sui temi del nuovo Rapporto
Qui l’articolo di Sergio Segio “L’apocalisse e il cambiamento possibile”, da Appunti n. 23, 1/2018
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