Accordo Ypg-Assad contro l’aggressione turca ad Afrin

Accordo Ypg-Assad contro l’aggressione turca ad Afrin

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Erdogan minaccia Mosca di conseguenze, ma trema per il possibile isolamento. Sullo sfondo l’opaco ruolo di Russia e Stati uniti nel cantone di Rojava

Poche ore e gli uomini di Bashar al-Assad potrebbero entrare ad Afrin a sostegno della resistenza curda all’offensiva turca «Ramo d’Ulivo». Gli annunci di un accordo tra unità di difesa curde Ypg/Ypj e governo di Damasco circolavano già domenica, con la Reuters che citava un funzionario di Rojava, Badran Jia Kurd. Ieri mattina Nuri Mahmoud, portavoce Ypg, dava l’ingresso nel cantone per imminente.

Dopo un iniziale silenzio, è arrivata la conferma della tv di Stato Sana: il dispiegamento al confine di forze pro-governative richiederebbe non un paio di giorni, come suggerito da Mahmoud, ma «poche ore».

«Le forze popolari arriveranno ad Afrin nelle prossime ore per sostenere la resistenza del loro popolo nel fronteggiare l’aggressione che le forze del regime turco hanno lanciato nella regione – ha spiegato la tv – [L’accordo] giunge nell’ambito del sostegno ai residenti e della difesa dell’unità territoriale e della sovranità della Siria».

L’intesa era nell’aria: da subito le forze curde avevano chiesto l’intervento del governo che fino a pochi giorni fa preferiva glissare, sebbene da settimane le truppe di Assad presenti a nord abbiano permesso ai combattenti curdi dei cantoni orientali di raggiungere Afrin.

Ora l’accordo pare reale: prevedrebbe, secondo Firat News, vicina alle Ypg, una no-fly zone una base siriana. Una bomba sul traballante equilibrio di alleanze, vere e di facciata, della guerra regionale combattuta in Siria. Per la prima volta combattenti pro-Assad si troverebbero faccia a faccia con i turchi, protagonisti di un confronto capace di cambiare volto al conflitto.

Forse per questo il confronto è «indiretto»: Sana non ha specificato l’appartenenza dei filo-Assad, ma il termine «forze popolari» è riferito a milizie di appoggio al governo di Damasco e non all’esercito nazionale. Sul terreno, dunque, si scontrerebbero pro-governativi e opposizioni, gli stivali sul terreno della Turchia: pur presente con carri armati e forze speciali, in questa operazione anti-curda il presidente Erdogan in prima linea ha spedito i salafiti di Ahrar al-Sham, i «moderati» dell’Esercito Libero Siriano e i qaedisti dell’ex al-Nusra.

Gli stessi gruppi che Damasco combatte a Idlib, la provincia nord-ovest controllata dalla galassia jihadista e da dicembre oggetto di un’ampia controffensiva russo-governativa (allo stesso modo di Ghouta est dove ieri nuovi raid governativi avrebbero ucciso oltre 70 persone).

Già, perché nell’equazione è impossibile tener fuori la Russia:dopo il lancio di «Ramo d’Ulivo», Mosca ha pensato bene di ritirare dall’estremo occidente siriano osservatori e soldati per evitare scontri più o meno diretti, ma sicuramente imbarazzanti, quasi al pari di quelli che potrebbero verificarsi a Manbij tra turchi e marines Usa. Ieri il presidente Putin ha parlato al telefono con Erdogan: secondo il quotidiano Hurriyet, che cita fonti vicine alla presidenza turca, Erdogan ha minacciato «conseguenze» se Assad avanzerà ad Afrin.

Dopotutto la questione ieri faceva sbraitare i suoi ministri. A reagire per primo è stato il responsabile degli Esteri Cavusoglu che ha parlato come se Rojava fosse territorio turco: «Se il regime entra per cacciare il Pkk e il Pyd [il partito curdo-siriano di Unione Democratica, ndr] non ci sono problemi. Se invece va a difendere le Ypg, niente e nessuno fermerà i soldati turchi».

Ma la reazione è stata anche bellica: ieri si sono intensificati i raid sul cantone curdo, con bombardamenti del centro di Afrin, dei distretti di Jinderese e Mabata e del campo profughi di Rubar. Distrutta una casa a Basute: un morto e otto feriti.

A rigor di logica l’intervento governativo non fa una piega: la Turchia ha lanciato una pesante campagna di bombardamenti in territorio siriano senza chiedere alcuna autorizzazione a Damasco (e, anzi, minacciando di arrivare fino all’estremo est, alla frontiera con l’Iraq) e per di più usando migliaia di miliziani che il governo combatte poco più a sud, nel bubbone jihadista di Idlib.

A ciò va aggiunta la semi-indifferenza che ha finora caratterizzato i rapporti tra Rojava e governo centrale: di scontri diretti non ce ne sono stati, se non in rarissimi casi, e Damasco ha nel recente passato promesso di negoziare con i cantoni di Rojava una futura autonomia.

Ma la logica è merce rara in Siria, soprattutto alla luce del processo negoziale che la Russia ha imbastito tra Astana e Sochi con la partnership turca, generando un asse indiretto Ankara-Damasco. Sullo sfondo, l’opaco ruolo degli Usa, fisicamente a Manbij con le Sdf e rifornitori di armi ai curdi, ma anche attenti a non immischiarsi nel cantone aggredito.

Un quadro «doppio» che prefigura o il possibile isolamento della Turchia, di nuovo sconfitta sul campo di battaglia dell’egemonia regionale, o una mossa strategica di Damasco per riprendersi il nord.

FONTE: Chiara Cruciati, IL MANIFESTO



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