Paniere Istat. L’uomo che decide quanto ci costa la vita
è un elenco nato 90 anni fa quando c’era l’olio di ricino, mentre oggi comprende mango e avocado
ROMA. Nel 1928 c’erano i fagioli secchi e il baccalà. Nel ’54 è arrivata la mortadella, nel ’67 la trippa di bue cruda, nell’81 la torta St. Honoré. Tra qualche anno, immagina Federico Polidoro, se dovessero ricevere tutte le autorizzazioni del caso e iniziare a prendere piede nei consumi delle famiglie, nel paniere Istat potrebbero arrivare gli insetti. Proprio così, gli insetti da mangiare, a tavola, come in Messico, o in Asia. Per quest’anno sono “entrati” mango e avocado, due frutti che «alcuni anni fa erano ancora per pochi, mentre adesso vengono coltivati in Italia e venduti anche nei mercati rionali». Federico Polidoro è “l’uomo del paniere” e dell’inflazione, cioè il dirigente del Servizio Sistema integrato sulle condizioni economiche e i prezzi al consumo dell’Istat. È lui, con i suoi collaboratori, ad avere l’ultima parola su quello che ogni anno entra ed esce dal paniere dei prodotti che costituiscono il riferimento per il monitoraggio mensile dei prezzi e l’elaborazione dei tre indici pubblicati dall’Istat: quello armonizzato (che viene utilizzato da Eurostat per calcolare la media europea delle variazioni dei prezzi al consumo), quello “intera collettività”, il più utilizzato, e infine l’indice “famiglie operai e impiegati”, che viene utilizzato in ambito limitato, per esempio per aggiornare i canoni d’affitto.
Le entrate e le uscite fanno titolo, e spesso scatenano polemiche: quest’anno per esempio c’è chi non ha risparmiato frecciate all’Istat per aver inserito nel paniere il mango e il robot aspirapolvere e aver fatto uscire il canone Rai, come se all’improvviso nessuno più guardasse la tv e tutti gli italiani fossero diventati benestanti e anche un po’ snob. In realtà, spiega Polidoro, le variazioni annuali del paniere sono ampiamente sopravvalutate perché rappresentano una parte infinitesima dei 1489 prodotti monitorati dagli oltre 350 addetti degli uffici comunali di statistica.
«È agli addetti che operano sul territorio che chiediamo una prima valutazione su quello che arriva nei punti vendita, i prodotti che cominciano a comparire o a scomparire dagli scaffali. — spiega il dirigente Istat — Poi, certo, incrociamo le loro segnalazioni con i dati quantitativi, chearrivano dall’indagine sui consumi e da altre fonti: il parametro è sempre quello del valore delle vendite, quando si arriva a una certa soglia che noi consideriamo rilevante, o quando si scende sotto quella soglia».
Oltre ai rilevatori comunali, e ai quasi 30 statistici che operano dagli uffici di via Cesare Balbo, a Roma, la rilevazione dei prezzi si avvale anche del contributo di Nielsen, di Gfk e di varie altre fonti, per esempio per i carburanti è il ministero dello Sviluppo Economico a comunicare ogni mese le quotazioni. «Da quest’anno, grazie a un accordo con la grande distribuzione, ci arrivano anche le informazioni dagli scanner di 1781 supermercati e ipermercati», dice Polidoro.
Un piccolo esercito di persone che fornisce una montagna di dati: l’obiettivo è quello di ricostruire il consumatore italiano tipo, che di conseguenza non assomiglia se non vagamente ai consumatori singoli, presi uno per uno. «Alcune associazioni dei consumatori spesso ci criticano per lo scarso peso che diamo agli affitti nel paniere. — dice Polidoro — É vero che chi paga un affitto deve riservare a questa spesa una parte importante del proprio reddito, ma è anche vero che gli italiani che vivono in affitto non arrivano neanche al 20% della popolazione, e quindi questo peso, distribuito su tutta la popolazione, si riduce».
Quanto al mango e all’avocado, spiega ancora Polidoro, questi due prodotti hanno semplicemente arricchito una ampia categoria composta da decine di varietà diverse: c’è di tutto, dalle arance (cinque varietà) alle mele, pere, banane, pesche. Tutta insieme, la frutta pesa solo l’1,1% del paniere.
Mentre il canone Rai, è uscito per ragioni amministrative: «Dal 2016, che è il nostro anno di riferimento perché noi aggiorniamo i pesi dei prodotti del paniere tenendo presenti i consumi di due anni prima, il canone Rai non è più un consumo, è una tassa, tant’è vero che si paga con la bolletta».
Il paniere esiste dal 1928, è nato praticamente con l’Istat (che ha aperto i battenti nel 1926).
L’evoluzione è accuratamente raccontata con pagine e pagine di dati sul sito dell’Istituto. «Siamo partiti con 59 prodotti raggruppati in cinque categorie, e che facevano riferimento a una società con un consumo primario, legato soprattutto all’agricoltura — rileva Polidoro — Adesso le categorie sono diventate 12, e anche i pesi all’interno del paniere sono cambiati. Fino al ’66 prodotti alimentari, bevande e tabacchi valevano oltre il 50% del paniere, dalla seconda metà degli anni ’90 si sono “ristretti”, adesso non arrivano al 20%. E non perché si spenda di meno per cibo e bevande, anzi si spende di più: è che in proporzione sono cresciuti altri consumi, dai trasporti alla ristorazione a ricreazione, spettacoli e cultura».
I panieri raccontano una lunga storia, cambiamenti profondi: chissà perché per esempio tra il ’28 e il ’38 nel vestiario una delle voci principali era il “gabardine nero per donna”. E poi va bene l’olio di ricino, che resiste per alcuni decenni, fino al dopoguerra, e l’inchiostro nero per le scuole, ma che cos’era il “cremor di tartaro”? E la Soda Solvay? Quando i prodotti aumentano, e le voci si differenziano, diventa difficile seguire le variazioni: gli elettrodomestici arrivano in sordina, ma poi si moltiplicano, l’ultima entrata, alcuni giorni fa, è la lavasciugatrice. Negli ultimi anni sono entrate le bevande energetiche, gli alimenti senza glutine, il kebab, il caffè al ginseng. L’obiettivo rimane sempre quello di dare un ritratto il più possibile autentico del Paese, altrimenti poi i dati sulle variazioni dei prezzi risulterebbero incoerenti con i consumi degli italiani. «Il paniere è ormai consolidato, entrano ed escono soprattutto prodotti di nicchia. — dice Polidoro — Comunque cerchiamo sempre di evitare decisioni affrettate, aspettiamo che una tendenza si consolidi. Da qualche anno discutiamo per esempio dell’opportunità di far uscire il telefono cellulare non smart: è meglio aspettare, ancora c’è un utilizzo diffuso seppur in calo». A volte certo, nonostante tutte le cautele adottate, qualche scelta va rivista a stretto giro: «La parabola: era entrata da poco, ma quasi subito è stata inserita nei pacchetti di abbonamento delle pay tv, e quindi, non rappresentando più un consumo autonomo, abbiamo dovuto farla uscire». E poi ci sono prodotti che è duro lasciare andare: «Per la canottiera intima da uomo ci furono lunghe discussioni a sfondo sociologico. Ma a un certo punto ci siamo resi conto che non aveva più ragion d’essere».
Fonte: ROSARIA AMATO, LA REPUBBLICA
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