Fca, né innovazione, né nuovi modelli: solo tanta Cassa integrazione
Se Gianni Rinaldini ha incontrato Sergio Marchionne molte volte nei suoi anni alla guida della Fiom, Michele De Palma – da cinque anni responsabile auto del sindacato dei metallurgici Cgil – non ha «mai avuto il piacere». Perché se è vero che la Corte Costituzionale a luglio 2013 ha riportato la Fiom nelle fabbriche Fca, l’apartheid voluta da Marchionne va avanti. «L’unico luogo in cui gli incontri con l’azienda non sono separati è il Comitato aziendale europeo (Cae) perché è regolato da una direttiva europea e non ci possono escludere».
Lì De Palma ha incontrato Alfredo Altavilla, uno dei papabili (assieme all’inglese Mike Manley) per essere nominato come erede dallo stesso Marchionne, forse proprio all’Investor Day del primo giugno, quando il manager col maglioncino svelerà il prossimo piano industriale 2019. «Non mi appassiona chi lo sostituirà, il tema è cosa deciderà la proprietà, la famiglia: spezzettamento e vendita del gruppo?», rimarca De Palma.
La situazione attuale di Fca in Italia è infatti molto complessa e negativa. «Se dal punto di vista finanziario gli obiettivi sono in via di raggiungimento, di converso dal punto di vista occupazionale, tecnologico e di sviluppo la situazione è allarmante: a Mirafiori e Pomigliano (dove non ci sarà più la Panda) gli ammortizzatori scadono in corso d’anno; a Modena, Grugliasco, Melfi e Cassino siamo all’implementazione della cassa integrazione con chiusure prolungate con l’uso di ferie e permesi», sottolinea il neo-segretario nazionale della Fiom.
La promessa di Marchionne di «piena occupazione nel 2018» è già stata rimangiata senza che nessun ministro gliene chiedesse conto. «Dopo che noi come Fiom abbiamo incontrato le Regioni (Campania, Piemonte) denunciando i rischi occupazionali, Calenda ha fissato oggi l’incontro con noi sindacati, ma senza azienda» e con le elezioni di mezzo.
È ormai chiaro a tutti che Marchionne stia portando «il lavoro e l’innovazione negli Stati Uniti mentre per l’Italia rimangono «le briciole». Davanti alla rivoluzione verde – mobilità collettiva, auto che pilotano da sole, nuove alimentazioni – Fca è indietro «specie sulle elettrico»: «da noi si tengono le alimentazioni a Gpl, diesel e metano mentre i motori innovativi della Magneti Marelli di Bari sono montati sulle Chrysler in America, mentre gli enti centrali di Mirafiori che sfornavano modelli e tecnologie sono fermi».
Per reagire a questa situazione la Fiom ha lanciato in questi mesi «una campagna di ascolto dei lavoratori con migliaia di questionari raccolti non solo fra i nostri iscritti». L’obiettivo è quello di «costruire una piattaforma non della Fiom ma dei lavoratori». A settembre infatti partirà la trattativa per il rinnovo del Contratto collettivo specifico di primo livello (Ccls) di Fca in Italia.
«Siamo stati esclusi anche dalle ultime elezioni alla Vm di Cento, i nostri Rsa continuano ad essere nominati, ma ormai in tutti gli stabilimenti il clima di insoddisfazione – il contratto nazionale unitario è stato votato, quello Fca no; nel 2010 lo scambio-ricatto fu dateci il contratto in cambio del lavoro, ma il lavoro ora non c’è – è tale per cui tutti si rendono conto che la divisione sindacale sta indebolendo il potere contrattuale anche di Fim e Uilm: chiedo loro di fermarsi un attimo e di ripartire insieme per chiedere a Fca di rispettare la sua storia e garantire sviluppo e piena occupazione in Italia», conclude De Palma.
FONTE: Massimo Franchi, IL MANIFESTO
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