Budget USA 2018. Il bilancio di Trump: più spese militari e meno welfare
Donald Trump ha presentato il suo budget per il 2018, con tagli radicali ai programmi di welfare e forti aumenti delle spese militari, come parte di una proposta di bilancio da 4,4 miliardi di dollari.
Il piano è ora sotto l’esame del Congresso. Ma si tratta più una dichiarazione politica ed ha poche possibilità di essere implementato nel modo in cui è stato scritto, non solo per ragioni ideologiche, ma perché così come è progettato, nei prossimi 10 anni, aggiungerebbe 7 miliardi di dollari al deficit americano, e i repubblicani, tradizionalmente, hanno sempre preferito bilanci piú equilibrati. «Forse si poteva trovare un equilibrio – ha detto al New York Times il direttore del budget di Trump, Mick Mulvaney – ma ci sarebbero voluti numeri bizzarri per farlo».
CIÒ CHE INTENDE MULVANEY è che per bilanciare le spese militari non si sa dove sarebbe potuto andare a cercare fondi; nel piano di spese c’è un aumento di 686 miliardi di dollari da dare al Pentagono (+13%), 200 miliardi di dollari per il piano infrastrutture, 18 per il muro col Messico, 23 per la sicurezza dei confini. Sono invece previsti tagli ai programmi sociali e sanitari, tra cui Medicaid e Medicare, base dell’Obamacare. In questa prospettiva si comprende perché il piano economico di Trump difficilmente influenzerà il Congresso, che ha invece appena approvato un progetto di legge sul bilancio, firmata dallo stesso Trump. Nell’accordo bipartisan trovato dal Congresso passando per un paio di brevi shutdown, la chiusura del governo, si parla di aumentare le spese militari di 195 miliardi di dollari nei prossimi due anni.
IL PIANO DI TRUMP, se applicato, renderebbe il deficit federale molto più imponente; evidentemente l’amministrazione ha fatto i suoi calcoli usando ipotesi troppo ottimistiche per la traiettoria economica della nazione, di certo più ottimistiche di ciò che gli esperti prevedono, inclusi quelli che fanno parte del governo, anche più ottimistiche rispetto a quelle usate l’anno scorso dall’amministrazione Trump nei suoi calcoli di bilancio. In particolare, l’amministrazione ha previsto una crescita economica annualizzata del 3,1% nei prossimi tre anni, mentre la Federal Reserve nel mese di dicembre prevede per lo stesso periodo, una crescita annua del 2,2%. L’indagine dei professionisti del settore stima il tasso di crescita su base annua del 2,4%.
Trump ha anche varato un maxi-piano per le infrastrutture americane, per 1500-1700 miliardi di dollari, grazie a un contributo di fondi federali per 200 miliardi, in modo da risanare e ammodernare le infrastrutture americane, grande problema reale di difficile risoluzione, con cui si sono misurati diversi presidenti di partiti e approcci diversi; ora ci prova The Donald. La sua idea è privatizzare le infrastrutture federali, come gli aeroporti di Washington, per massimizzarne il valore. Una strategia basata su incentivi e snellimenti burocratici prevede che a mettere in campo le risorse siano principalmente Stati e municipalità, coprendo fino all’80% dei costi. La proposta di Trump così nostalgico della vecchia America vincente, è però molto diversa da quella della tradizione americana delle grandi opere, sempre finanziate da fondi federali per il 50-80%.
L’IDEA DI TRUMP non avrá vita facile, per diventare legge deve passare 11 commissioni in un Congresso tutt’altro che compatto. I democratici dal canto loro hanno una strategia da mille miliardi tutta su i fondi federali, in quanto basarsi sugli Stati e le municipalità farebbe crollare budget già sfruttati al massimo solo per mantenerle attive, le infrastrutture. Oltre a ciò ai democratici sembra anche poco probabile che imprese private si facciano carico di infrastrutture nelle aree povere, privilegiando aree-vetrina a discapito di intere fasce di popolazione.
Per i repubblicani le obiezioni sono più nelle loro corde ma non meno forti, in quanto una spesa già appesantita dagli sgravi della riforma fiscale e dalle aumentate spese militari, non può aggiungere altre voci che vadano ad incidere sul debito federale.
FONTE: Marina Catucci, IL MANIFESTO
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