by Fernando Liuzzi | 8 Febbraio 2018 9:02
“Salario e orario. Storicamente, questi sono gli argomenti classici della contrattazione sindacale. Non è quindi singolare che siano anche i due temi di fondo attorno cui ruota l’accordo per il nuovo contratto dei metalmeccanici tedeschi, definito nelle scorse ore a Stoccarda. Vorrei dire, però, che in questo caso sono state trovate soluzioni che mi permetterei di definire come profondamente innovative.” Parole di Fausto Durante, già segretario nazionale della Fiom, il sindacato dei metalmeccanici Cgil, e dal 2012 responsabile prima europeo e poi internazionale della stessa Cgil.
Durante ci riceve nel suo ufficio, posto al quarto piano della sede nazionale sita a Roma, in corso d’Italia. Ha appena finito di rilasciare un’intervista a Radio Articolo 1, la web radio della Confederazione. Oggetto, l’argomento del giorno, ovvero l’accordo siglato martedì 6 febbraio dal sindacato Ig Metall con la sua controparte naturale, la Gesamtmetall, ovvero il corrispettivo tedesco della nostra Federmeccanica.
Hai parlato di un accordo innovativo. Ma forse, prima di lanciarsi in commenti, sarebbe utile che tu ci aiutassi a capire i suoi effettivi contenuti. Infatti, in queste ore, da quando è arrivata la notizia dell’accordo, ho sentito descrizioni di questa intesa non solo sommarie, ma anche discordanti. Vorrei quindi partire con una domanda secca: l’accordo è relativo al Land del Baden-Wurtemberg o a tutta la Germania?
In prospettiva, a tutta la Germania.
E allora perché è stato fatto a Stoccarda, cioè nella città capoluogo del Baden-Wuerttemberg?
Perché è così che, storicamente, funziona in Germania la contrattazione nel settore metalmeccanico. Il negoziato – e quindi, eventualmente, anche il conflitto – viene esercitato in questo grande Land industriale, collocato nel Sud-Ovest della Germania. Si tratta di un’area mista, dotata di splendidi paesaggi naturali, che comprendono la Foresta Nera, ma anche di estese zone industrializzate. In particolare, lì è significativamente presente l’industria metalmeccanica. Basti pensare che, su circa 4 milioni di metalmeccanici tedeschi, ben 900mila, pari a quasi un quarto del totale, vivono e lavorano in questo Land.
E poi, una volta raggiunto un accordo come quello siglato ieri a Stoccarda, cosa accade?
Tradizionalmente, accade che l’intesa definita nel Baden-Wurtemberg venga poi estesa a tutta la Repubblica federale. Nel caso di cui stiamo parlando, mi aspetto che ciò avvenga, al massimo, entro una decina di giorni.
Bene. Parliamo allora dei contenuti. Mi pare di aver capito che i punti principali sono una crescita salariale e una riduzione d’orario. Cosa ci sarebbe di innovativo?
Per prima cosa, credo sia necessario chiarire subito che il punto relativo all’orario non può essere circoscritto entro i confini di una riduzione d’orario, ancorché clamorosa. Molti hanno parlato, infatti di una riduzione dell’orario settimanale da 35 a 28 ore. Ma le cose non stanno così. L’accordo è più complesso. Il punto principale, comunque, è l’introduzione di una vera e propria flessibilità dell’orario di lavoro. Flessibilità che, in basso, può toccare le 28 ore, e, in alto, le 40. In sostanza, si passa da un schema rigido, quello delle 35 ore settimanali per tutti, a uno schema flessibile. E questa è la novità.
Come funzionerà, dunque, questo nuovo assetto flessibile dell’orario?
L’orario di base rimane fermo alle 35 ore settimanali conquistate dai metalmeccanici tedeschi nella seconda metà degli anni 80. Dopo di che ci sono due cambiamenti. Il primo è quello che ha colpito maggiormente i mezzi di informazione. In pratica, l’accordo sancisce il diritto soggettivo dei metalmeccanici a chiedere una riduzione dell’orario settimanale a 28 ore. La logica generale di questa innovazione è quella di conciliare i tempi di vita dei singoli lavoratori con il tempo di lavoro necessario alle aziende. In pratica, si tratta di venire incontro alle esigenze di quelle lavoratrici e di quei lavoratori che abbiano a casa dei parenti anziani e non autosufficienti, oppure dei parenti malati, o che vogliano seguire più da vicino i percorsi educativi e scolastici dei propri figli. Ma può chiedere la riduzione dell’orario anche chi desideri ridurre lo stress di cui soffre soggettivamente a causa del lavoro a turni.
Aggiungo che la possibilità di lavorare con questo orario ridotto a 28 ore, meno dell’orario regolare e più di un part time, può essere esercitata per un tempo pari a due anni. Peraltro, questa richiesta potrà essere reiterata nel corso della carriera lavorativa di ogni dipendente.
Questo per quanta riguarda la riduzione. Ma ogni contratto è anche un compromesso. E così, anche in questo caso, il compromesso c’è ed è evidente.
Cosa vuoi dire?
Voglio dire che, in base all’accordo del 6 febbraio, le imprese potranno fare ai propri dipendenti la richiesta, non vincolante, di lavorare per 40 ore settimanali, invece che per le, ormai tradizionali, 35. Ciò, peraltro, sulla base di specifiche esigenze, quali i picchi produttivi che dovessero verificarsi o le carenze di personale relative a specifiche professionalità. Sottolineo che, in ogni caso, l’accettazione di questa richiesta da parte dei lavoratori avverrà su base volontaria.
E quindi?
Quindi le imprese, accogliendo l’esigenza, proposta dal sindacato, di ridurre l’orario a vantaggio di quei lavoratori che ne facessero richiesta, hanno ottenuto di rompere il vincolo delle 35 ore. Anche se col limite che la salita da 35 a 40 ore settimanali può essere fatta solo con il consenso soggettivo dei singoli lavoratori.
Veniamo allora al salario. Mi pare di aver capito che qui le cose siano più semplici. E forse anche meno innovative.
Più semplici forse, meno innovative no.
In che senso?
Per risponderti partirei dalla struttura degli aumenti. Per prima cosa bisogna ricordare che l’accordo riguarda il periodo che va dal 1° gennaio 2018 al 30 giugno 2020. Ebbene, a partire dal 1° aprile 2018 e per i successivi 27 mesi ci sarà un aumento delle retribuzioni che, a regime, arriverà fino a un + 4,3%.
E cosa c’è di innovativo?
Parecchio, direi. Non certo nell’idea in sé di aumento retributivo, ma rispetto al contesto politico-culturale che si è determinato in Europa, quanto meno, a partire dalla Crisi globale del 2007-2008. Qui ci sono tre aspetti che vorrei sottolineare. Primo, si tratta di aumenti retributivi determinati col contratto nazionale, ovvero con uno strumento negoziale che, in Germania, ha sempre avuto grande peso, ma che non ha pari importanza in tutti i Paesi dell’Unione Europea. In Italia, e anche altrove, si è invece diffusa, nel periodo più recente, l’idea che gli aumenti retributivi netti possano essere fatti solo in azienda, ovvero lì dove si possono essere determinati, in precedenza, degli aumenti di produttività. Qui, invece, si è tornati all’idea che vi sia una centralità del contratto come strumento che determina la crescita del valore nominale delle retribuzioni. E ciò – secondo punto – non solo come conseguenza di una precedente crescita dell’inflazione ma, al contrario, come momento di redistribuzione di una accresciuta ricchezza prodotta nel settore a livello nazionale e come spinta verso una crescita della domanda interna di beni e servizi. Quindi, a mio parere, si è tornati all’idea che il contratto nazionale sia, allo stesso tempo, uno strumento di giustizia sociale e uno strumento di politica economica.
E il terzo aspetto?
Il terzo aspetto sta nell’intreccio fra aumenti retributivi e rimodulazione dell’orario. Un intreccio che ci aiuta a capire la complessità dell’accordo del 6 febbraio e anche i suoi equilibri interni. In pratica, la cosa sta così. Oltre all’aumento retributivo di cui abbiamo parlato, quello che farà crescere i salari, a regime, del 4,3%, l’intesa prevede due “somme aggiuntive”, ovvero due bonus ciascuno dei quali sarà erogato una volta l’anno. La prima somma equivale al 27,5% della retribuzione mensile. Il secondo bonus consiste invece in una somma, uguale per tutti, di 400 euro. Infine, a compensazione del mancato aumento delle retribuzioni nei primi tre mesi del corrente anno, verrà erogata una tantum, entro marzo, una cifra pari a 100 euro (70 euro per gli apprendisti).
E dove sta l’intreccio con la riduzione d’orario?
Sta nel fatto che i lavoratori che sperimenteranno la riduzione a 28 ore settimanali, da un lato, avranno il diritto di tornare all’orario pieno di 35 ore ma, dall’altro, dovranno accettare un sacrificio salariale, peraltro contenuto. La loro paga mensile resterà invariata, come se avessero mantenuto l’orario di 35 ore settimanali. In cambio, dovranno rinunciare ai due bonus che ho appena descritto. Va però anche detto che, a compensazione della mancata ricezione delle due “somme aggiuntive”, questi lavoratori a orario ridotto avranno diritto a godere di 8 giorni aggiuntivi di riposo all’anno.
Quindi, quando parlavi di un accordo innovativo anche rispetto all’orario, ti riferivi a questo equilibrio abbastanza complesso che è stato raggiunto tra le esigenze di diversi gruppi di lavoratori?
Sì, mi riferivo anche a questo aspetto, ma non solo, né principalmente, a questo stesso aspetto. Il punto principale, secondo me, è un altro.
In primo luogo, c’è un vero scambio, che mi pare equilibrato, tra le nuove esigenze di diversi gruppi di lavoratori e le esigenze dell’impresa in cui operano. In particolare, i lavoratori che accedono alla riduzione dell’orario non vengono penalizzati a causa di questa loro scelta. In senso più ampio, mi pare di poter dire che, con questo accordo, il benessere dei lavoratori non è più solo l’obiettivo dell’azione sindacale, ma diventa anche un elemento della cui importanza le aziende si sono fatte più consapevoli. Voglio dire, cioè, che lo scopo dell’accordo del 6 febbraio è quello di ridurre la distanza che c’è, o ci può essere, fra il lavoratore e il suo lavoro.
In sostanza, sia il sindacato che l’associazione delle imprese si sono trovate d’accordo sull’idea che accrescere la soddisfazione dei lavoratori rispetto alla loro vita lavorativa sia importante per costruire un ambiente lavorativo e produttivo sempre più adatto alla cosiddetta industria 4.0, ovvero a un concetto di industria che è nato proprio nell’attuale Repubblica federale tedesca. Si tratta, in una parola, di costruire un ambiente sociale e industriale appositamente concepito per accogliere il lavoro nell’era digitale.
Non ti sembra che questa sia una valutazione eccessivamente positiva?
Non so se esagero, ma penso che le imprese metalmeccaniche tedesche, con questo accordo, abbiano mostrato di aver compreso l’importanza di raggiungere punti di equilibrio che ci dicono che il lavoro umano viene più concepito non più come un elemento produttivo che deve essere sempre a disposizione dell’impresa, ma come un elemento produttivo che, per poter esplicare al meglio la propria funzione, deve potersi sentire a suo agio nella fabbrica 4.0.
A ciò aggiungo che, da questa intesa, il contratto nazionale esce rafforzato come strumento di governo del sistema degli orari, con le loro flessibilità sempre più necessarie, e – assieme – come strumento di governo del salario. Il secondo elemento è particolarmente importante anche rispetto alla possibilità di influire sulla politica economica. Il primo per rendere più produttiva l’organizzazione del lavoro in un’epoca in cui alcune rigidità del modello fordista sono venute meno, e in cui – invece – la digitalizzazione degli ambienti produttivi spinge verso la ricerca di nuove flessibilità.
Un’ultima domanda. La coincidenza temporale quasi perfetta tra l’accordo sindacale per il contratto dei metalmeccanici e quello politico sul nuovo governo di coalizione fra socialdemocratici, cristiano-democratici e cristiano-sociali bavaresi è solo un caso, oppure ha un senso?
Direi che ha un senso abbastanza evidente. Infatti, per la seconda volta, nella recente storia politica tedesca, siamo alla formazione di un nuovo Governo che avviene subito dopo il prodursi di un’importante novità sindacale. Nel 2013, la Grosse Koalition fra Spd, Cdu e Csu si formò a ridosso della presentazione della richiesta sindacale dell’introduzione per legge del salario minimo. Tale richiesta non rientrava nelle tradizioni del sindacato tedesco, piuttosto portato a privilegiare la contrattazione, ma fu formulata come antidoto alle conseguenze negative della diffusione dei cosiddetti mini jobs, che avevano abbassato de facto i livelli salariali. E, in effetti, la richiesta stessa venne a costituire una delle basi dell’accordo interpartitico, e fu poi tradotta in pratica.
Adesso, dopo cinque anni, il nuovo accordo fra i partiti per dare vita a una nuova Grosse Koalition è stato raggiunto a poche ore di distanza dalla definizione dell’intesa sindacale relativa ai metalmeccanici, ovvero a quella che è, di gran lunga, la prima categoria industriale della Germania.
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07 Febbraio 2018
Fonte: Fernando Liuzzi, Diario del Lavoro[1]
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