by Adriana Pollice | 6 Febbraio 2018 9:42
NAPOLI. Il primo grado del processo per la mancata bonifica del Sito di interesse nazionale Bagnoli-Coroglio si è chiuso ieri con sei condanne. Il tribunale di Napoli, che ha disposto il dissequestro dell’area, ha riconosciuto colpevoli di disastro ambientale colposo e truffa ai danni dello Stato sei imputati: Gianfranco Caligiuri, ex direttore tecnico di Bagnolifutura, condannato a 4 anni; 3 anni per Sabatino Santangelo, ex presidente di Bagnolifutura ed ex vice sindaco di Napoli, e per Alfonso Di Nardo, dirigente Arpac; 2 anni a Gianfranco Mascazzini, ex direttore generale del ministero dell’Ambiente, a Mario Hubler, ex direttore generale di Bagnolifutura, e a Giuseppe Pulli, dirigente del dipartimento Ambiente del comune di Napoli.
Le pene richieste erano più alte (dagli 8 ai 4 anni) ma i giudici hanno ridotto l’accusa da disastro ambientale doloso a colposo, mentre il reato di traffico illecito di rifiuti si era già prescritto. Luigi Rispoli di FdI commenta: «Per anni Bagnolifutura è stata la camera di compensazione dei dirigenti Pd che non trovavano posto nelle giunte a guida Bassolino e Iervolino».
Gli attivisti di Bagnoli libera ieri hanno esposto all’interno del tribunale lo striscione «Condannati o assolti, siete tutti coinvolti». L’indagine iniziò con la denuncia di Adele Iandolo: la donna, che abitava alle spalle dell’ex acciaieria, sviluppò un tumore ai polmoni e decise di rivolgersi alla magistratura, è morta prima della fine del primo grado. Il pm Stefania Buda avviò le indagini ipotizzando che l’area non fosse mai stata bonificata, nonostante i 76 milioni di euro stanziati dal governo.
Un disastro ambientale sul quale indaga anche la Corte dei Conti, che ipotizza un danno erariale di oltre 100 milioni. Nel 2013 la pm ottenne dal gip il sequestro del Sin: i consulenti Benedetto De Vivo, Maurizio Manno e Giovanni Auriemma accertarono che la bonifica aveva peggiorato l’inquinamento dei suoli nonostante, secondo la società che gestiva l’area (prima Bagnoli Spa e poi la Stu Bagnolifutura), la zona era stata ripulita al 65%, di cui il 50% certificato.
La tesi dei pm è stata prima contraddetta dalla perizia delle difese e poi confermata dalla superperizia disposta dal tribunale ed affidata al geologo Claudio Galli, depositata a febbraio 2017. All’interno delle 200 pagine si legge: «Si ritiene che gli interventi di bonifica certificati, così come realizzati, abbiano compromesso la futura fruibilità dei luoghi, perlomeno quelli a destinazione d’uso residenziale, arrivando talora a incrementare le concentrazioni esistenti prima della bonifica. Tale compromissione determina la necessità di una nuova attività di caratterizzazione e di bonifica/messa in sicurezza». Insomma l’area, dopo 25 anni, è ancora dannosa per la salute a causa delle sostanze cancerogene come gli Ipa, i Pcb e l’eternit.
La Stu aveva provato ad aggirare le prescrizioni di legge declassando i lotti da zona residenziale a industriale o, addirittura, recintando alcune porzioni interne al parco dove avrebbero dovuto giocare i bambini. Ma a certificare per la terza volta la nocività del sito ci hanno pensato le caratterizzazioni fatte da Invitalia, soggetto attuatore incaricato dal governo Renzi della bonifica di Bagnoli-Coroglio. Anche Invitalia ha confermato, lo scorso dicembre, che bisogna ricominciare tutto daccapo. «L’impianto ha retto – ha spiegato ieri Buda -. La mia principale soddisfazione è che, con il sequestro, ho fatto sapere alla città che c’era una criticità enorme nella zona».
Gli attivisti di Bagnoli ricordano ogni fase del disastro. Nella nota si legge: «Tra il 2004 e il 2005 l’Icram presenta i risultati delle analisi condotte sui sedimenti marino-costieri, i dati mostrano un diffuso inquinamento. Nel 2007 viene aperto il cantiere della Porta del Parco: le opere, completate tra il 2009 e il 2010, sono costate 45 milioni, non sono mai state aperte al pubblico, se non in minima parte, e versano in stato di degrado.
Tra le spese di gestione della Stu, l’indebitamento bancario per acquisire i suoli, i costi di bonifica ed edificazione, il debito di Bagnolifutura ammonta a oltre 300 milioni. Nel 2014 con lo Sblocca Italia emanato dal governo Renzi, entrano in gioco i grandi imprenditori: a Bagnoli è previsto un commissariamento in stretto rapporto con Fintecna e Caltagirone, proprietari di porzioni dei suoli.
Il piano è stato arginato grazie alla lotta dei comitati per la spiaggia pubblica, la rimozione della colmata a mare e la bonifica integrale». L’avvocata Claudia Esposito, che ha seguito il processo come legale dei Vas, spiega: «Siamo soddisfatti ma c’è sempre l’ombra della prescrizione. Ci sono voluti quattro anni, tre perizie e un’udienza a settimana per arrivare al primo grado. Un lavoro enorme per correggere i gravi errori della politica».
FONTE: Adriana Pollice, IL MANIFESTO[1]
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2018/02/96736/
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