by Riccardo Chiari | 24 Gennaio 2018 10:05
Anche stavolta l’Alto Valdarno toscano fa da apripista. Alex Zanotelli: “La privatizzazione va avanti, che dicono i partiti e i candidati alle elezioni”. Dopo il referendum solo a Napoli l’acqua è tornata pubblica. Con tariffe basse e bilanci in utile.
FIRENZE. Il sasso nello stagno dell’acqua tuttora privatizzata è stato lanciato ieri, su Nigrizia, da Alex Zanotelli: “Il Parlamento si è fatto beffa del referendum del 2011. E la privatizzazione va avanti”. Parole che hanno trovato puntuale conferma nella decisione dell’assemblea dei sindaci dell’Autorità idrica Toscana (Ait) di prorogare per altri tre anni – dal 2024 al 2027 – la concessione di Nuove Acque, gestore del servizio idrico integrato della zona aretina-senese. Una proroga che va di pari passo con l’ennesimo aumento tariffario. In una regione da record, la Toscana, dove già oggi l’acqua costa (molto) di più che nel resto della penisola.
Agli occhi dei movimenti per l’acqua pubblica, la zona aretina-senese ha un alto valore simbolico. Per la prima volta in Italia fu proprio qui, nell’ormai lontano 1999, che i Comuni facenti parte del Consorzio 4 Alto Valdarno affidarono il servizio idrico integrato a una società privato-pubblica. All’epoca i 37 sindaci dell’Ato (Ambito territoriale ottimale), dopo essere passati dal via libera dei consigli comunali, affidarono per 25 anni la gestione a Nuove Acque, una Spa capitanata da Gdf Suez e Acea, con Monte dei Paschi e Banca Etruria come partner finanziari.
Il risultato fu disastroso. Sia per i cittadini-utenti, che videro schizzare alle stelle la tariffa del servizio idrico integrato, che per la quantità (e la qualità) degli investimenti: dopo dieci anni di affidamento, erano meno della metà di quanto era stato speso quando l’acqua era saldamente in mano pubblica. Soprattutto era stata aperta una breccia ai privati, che di lì a pochi anni entrarono nelle gestioni dell’oro blu quasi ovunque. A partire proprio dalla Toscana.
Che i governi (Monti, Letta, Renzi, Gentiloni) e i parlamenti, dal 2011 ad oggi, si siano fatti beffe del vittorioso referendum sulla ripubblicizzazione dell’acqua, è cosa arcinota. Mentre vanno avanti le proteste dei movimenti per l’acqua. Ad Arezzo, nel giorno in cui i sindaci – senza più passare dai consigli comunali – e l’Ait hanno deciso la proroga della concessione e i nuovi aumenti, davanti al “palazzo del potere” di via Gobetti erano schierati carabinieri e polizia. Chiamati, in via preventiva, per tenere lontani i cittadini e i locali Comitati dell’Acqua, raccolti per l’ennesima volta in presidio per manifestare civilmente il loro dissenso.
Al termine del conclave il presidente dell’Ait, Bruno Valentini, sindaco piddino di Siena, ha cercato di indorare la pillola: “C’è una riduzione dell’aumento tariffario, sarà solo l’1,5% circa in più”. Poi una notizia: “Ora la discussione si sposta all’ Aeegsi (Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico, ndr), ed è una discussione che interesserà anche il resto della Toscana, perché tutti gli altri territori si trovano in una situazione analoga”.
Che succederà a Firenze, Pisa, e nel resto della regione? Intanto Alex Zanotelli avverte: “È necessario portare il tema dell’acqua in campagna elettorale, chiedendo a candidati e partiti di esprimersi”. Astenersi parolai: ad oggi a Roma, Milano, Bologna, Torino, Genova e nelle altre città l’acqua non è tornata pubblica. Solo a Napoli è stato rispettato il referendum, l’amministrazione De Magistris ha riportato il servizio idrico integrato “in house”. Con risultati non certo fallimentari, se non per chi propaganda giorno e notte le virtù del cosiddetto “mercato”: nonostante abbia tariffe fra le più basse d’Italia, la società comunale partenopea Abc chiude i bilanci in utile. E non paga, ovviamente, l’odioso balzello del 7% annuo per “remunerare” il capitale privato.
FONTE: Riccardo Chiari, IL MANIFESTO[1]
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