Eutanasia. «Cappato ha difeso un diritto». Pm e legali dalla stessa parte
Ultima udienza davanti alla corte d’Assise di Milano. Il 14 febbraio la sentenza
Se il prossimo 14 febbraio, giorno della sentenza, Marco Cappato fosse condannato per la violazione di un articolo (il 580 c.p., istigazione o aiuto al suicidio, punibile con la reclusione da 5 a 12 anni) redatto prima della nostra Costituzione, vorrà dire che la Corte d’Assise di Milano avrà deciso di non riconoscere a Dj Fabo il diritto alla dignità. Non un diritto astratto, peraltro ormai acquisito universalmente, ma quello specifico di un uomo, Fabiano Antoniani, paraplegico e cieco dal 2014, che pativa enormi sofferenze senza alcuna via di uscita e che aveva deciso di morire con dignità. E di rendere pubblica la propria battaglia chiedendo aiuto al tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni per raggiungere la Svizzera, dove si sarebbe poi suicidato il 27 febbraio 2017.
È su questo terreno del riconoscimento del «diritto alla dignità» che si sono incontrate perfettamente le richieste sia dei pm che della difesa, nell’ultima udienza del processo che si è tenuta ieri in un aula tanto affollata quanto partecipe del tribunale milanese.
«Se Fabiano avesse avuto anche solo 30 secondi per muoversi liberamente avrebbe messo fine alle proprie sofferenze da solo, per recuperare quella dignità che la malattia gli aveva tolto», ha ricordato il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano che nella sua requisitoria ha chiesto l’assoluzione di Cappato perché «il fatto non sussiste» e in subordine di sollevare l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. .
Altrimenti, ha aggiunto la pm Sara Arduini, bisognerebbe accusare dello stesso reato «anche la madre Valeria, la fidanzata Carmen, gli amici di Fabiano e perfino il portiere che lo ha salutato per l’ultima volta e gli ha tenuto la porta aperta».
Perché, hanno spiegato le due magistrate, se è vero che «esiste un diritto alla dignità», riconosciuto perfino «dalla Costituzione europea», che «come tutti i diritti va bilanciato con altri», e se è vero che il suicidio è considerato universalmente un disvalore ma non è un reato per lo Stato tanto che non è soggetto a punizione l’aspirante suicida che sopravvive al tentativo, allora «si arriva a una conclusione stratosferica: il signor Cappato è imputato di aver aiutato qualcuno ad esercitare un legittimo diritto, quello alla dignità. Non vorrei – è la conclusione della procura – che come Tommaso Moro, vedessimo oggi la condanna di Cappato e la sua santificazione tra qualche secolo».
«Alla luce dei principi scolpiti nella Carta, in particolare, negli art. 2, 3, 13, 32 e 117 (quest’ultimo in relazione agli art. 8 e 14 della Cedu)» il collegio di difesa coordinato dalla segretaria dell’Associazione Coscioni, Filomena Gallo, ha chiesto l’assoluzione piena di Cappato e in subordine l’eccezione di costituzionalità, come le pm. Nella sua arringa l’avvocato Francesco di Paola ha chiesto ai giudici popolari e al presidente Ilio Mannucci di «diventare la longa mano di Fabiano» e di dare «corpo alla Costituzione».
Il legale ha ricostruito le fasi essenziali del dibattimento che hanno restituito, anche attraverso la proiezione di un video, la forte volontà di Dj Fabo di morire suicida in Svizzera (nei momenti più toccanti la madre Valeria non ha retto ed è uscita dall’Aula) e di non sottoporsi alla «via italiana» della sedazione profonda perché troppo lunga, dolorosa e straziante per le sue condizioni di salute.
Di Paola ha dunque ricordato che «soprattutto dopo il varo della legge sul biotestamento, nessuno può essere accusato di istigazione all’interruzione delle cure, anche se questo porta alla morte». Perché c’è una novità: «Riconosciamo il diritto all’autodeterminazione».
Cappato, che si è autodenuncaito per l’aiuto fornito a Fabo, vuole essere chiaro però: «Se dovesse arrivare una assoluzione che definisce irrilevanti le mie azioni, mentre sono stati determinanti, preferirei una condanna. – ha detto in una dichiarazioni rilasciata davanti alla Corte – Una tale motivazione aprirebbe la strada a qualcosa che nessuno può volere: si accetterebbe che solo chi è in grado di raggiungere la Svizzera può essere libero di scegliere».
È una battaglia della migliore politica, quella del radicale della lista +Europa (che però non si candida) : «Decine di persone ogni anno lo fanno clandestinamente e perciò di loro non sappiamo nulla, né chi li ha aiutati né chi li ha istigati. Fabiano ha deciso di rendere pubbliche le sue scelte non per ergersi a modello da emulare ma per chiarire i margini del proprio diritto».
FONTE: Eleonora Martini, IL MANIFESTO
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