Assassinato in Kosovo il leader serbo Oliver Ivanovic

Assassinato in Kosovo il leader serbo Oliver Ivanovic

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Rischia di deragliare il già difficile negoziato tra Serbia e Kosovo, dopo che ieri mattina a Mitrovica Nord è stato assassinato – con esecuzione «professionale» – Oliver Ivanovic, 64 anni, leader dei serbi in Kosovo. Era stato segretario di Stato in Serbia dal 2008 al 2012 presso il ministero per il Kosovo-Metohja; già guida nel 1999 dei «guardiani del ponte», la difesa serba di Mitrovica, ancora divisa in due sul fiume Ibar; e aveva fondato da qualche anno il movimento civico Sloboda, Demokratija, Pravda che punta sulla pace e la convivenza.
Malgrado fosse stato accusato di crimini contro i civili kosovaro-albanesi nel 1999, Ivanovic si è sempre proclamato innocente.

Condannato in primo grado a 9 anni di reclusione, ha trascorso quasi 3 anni in carcere, nel febbraio del 2017 il tribunale kosovaro ha annullato la condanna ordinando un nuovo processo. Una « assoluzione» contro cui si è scatenata una dura campagna dei kosovaro-albanesi di Pristina.

Anche se non rivendicato, l’omicidio è avvenuto con una puntualità che non lascia dubbi: proprio infatti ieri a Bruxelles dovevano riprendere le trattative tra i rappresentati di Belgrado e di Pristina. Il presidente serbo Alexander Vucic, malgrado le autorità di Pristina si siano precipitate a condannare l’attentato, ha richiamato in patria la sua delegazione convocando d’urgenza il Consiglio di sicurezza nazionale su questo «attacco terroristico contro gli interessi serbi».

La guerra del Kosovo, che si inserì negli anni ’90 nel quadro della dissoluzione della Federazione jugoslava fondata da Tito, durò 3 anni e provocò la morte di almeno 3.000 persone. Nel 1999 l’intervento massiccio dell’aviazione Nato a fianco delle milizie kosovaro-albanesi dell’Uck nel conflitto, condusse alla sconfitta e alla resa della Serbia, la quale dovette abbandonare la regione. Da quel momento il Kosovo è stato in preda ad una pulizia etnica alla rovescia, con migliaia di serbi messi in fuga con il terrore, decine di civili assassinati, ben 144 monasteri e chiese ortodosse distrutte. Il Kosovo dichiarò poi nel 2008 l’indipendenza unilaterale dalla Serbia, contro gli accordi di pace di Kumanovo diventati risoluzione Onu; nel 2010 la corte internazionale di giustizia ha sostenuto che la dichiarazione «non infrange il diritto internazionale né le risoluzioni Onu». Ma l’indipendenza del Kosovo non è riconosciuta da cinque stati europei, Spagna, Grecia, Romania, Slovacchia e Cipro Nord; né da Russia, Cina e India e tra i paesi dell’Onu, solo da 111 su 193 Stati membri. Il fatto più impediente resta però un altro: su Hashim Thaqi, leader politico-militare dell’Uck, diventato nel 2016 presidente della repubblica proprio per impedire ogni incriminazione internazionale, pende l’accusa del Rapporteur del Consiglio d’Europa Dick Marty di coinvolgimento «in un traffico di armi, droga ed organi espiantati a prigionieri civili serbi»; gli stessi capi d’accusa per i quali l’ex procuratrice del Tpi Carla Del Ponte chiede inascoltata all’Onu di incriminarlo.

Belgrado, che punta a rafforzare la sua crescita economica (+3% del Pil nel 2017) con l’ingresso nell’Ue, non ha mai interrotto il dialogo.

Ma ora l’Ue lo condiziona al riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo; mentre la Serbia, che considera quel territorio culla della propria storia, dichiara che «non riconoscerà mai l’indipendenza» neppure nella versione light del «riconoscimento de facto». Malgrado ciò in 6 anni di trattative sono stati sottoscritti 17 piccoli accordi che hanno permesso alle due comunità di riprendere alcune relazioni istituzionali ed economiche. La stessa Federica Mogherini ha dichiarato che una trattativa del genere «non può essere giudicata solo in termini di rapidità temporale». Il 19 dicembre il presidente serbo Vucic ha incontrato a Mosca Putin per chiedere – vista l’insistenza di

Pristina per inserire nella trattativa gli Usa che hanno in Kosovo una mega-base militare – un ruolo di Mosca più attivo. Ricevendo un sì convinto del presidente russo.

Ivanovic non aveva mai cessato di operare per giungere a un compromesso tra Pristina e Belgrado e anzi aveva denunciato la politica del Partito Progressista Serbo di sostenere nelle elezioni del Kosovo solo liste composte da serbi. Il clima di intimidazione verso lui non si era mai fermato. Nella campagna elettorale dell’ottobre 2017 per le municipali di Mitrovica Nord (dove poi il suo partito ha conquistato tre seggi e Ivanovic è stato eletto) alcuni dei candidati del suo movimento erano stati costretti a ritirarsi. Lo stesso Ivanovic aveva dichiarato a France Presse «di essere sempre sotto la pressione di minacce» e recentemente gli era stata incendiata l’automobile.

FONTE: Yurii Colombo, IL MANIFESTO



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