by Luca Tancredi Barone | 16 Gennaio 2018 10:13
BARCELLONA. Il partito di Convergència democràtica de Catalunya (CdC) ha rubato a man bassa. Lo ha certificato l’Audiencia di Barcelona ieri con una storica condanna che chiude simbolicamente un’epoca politica. CdC è il partito che si è dissolto nell’attuale PdCat, che a sua volta si è nascosto nella lista chiamata Junts per Catalunya, guidata dall’ex presidente deposto Carles Puigdemont. Questi è membro dello storico partito catalano, cui appartengono anche il «padre dalla patria catalana», il molt honorable Jordi Pujol, presidente per più di 20 anni, a sua volta caduto in disgrazia, e il predecessore di Puigdemont, Artur Mas. Il quale, in previsione di questa sentenza, si era dimesso dal suo incarico di presidente del PdCat la settimana scorsa, e opportunamente un anno e mezzo fa aveva sciolto il Cdc, che aveva tutte le sedi sotto embargo giudiziario (proprio per questa inchiesta, durata nove anni), per «fondare» il PdCat. La sentenza è storica perché certifica il canale di finanziamento illegale di CdC attraverso l’istituzione culturale più importante e simbolica di tutta la Catalogna: il Palau de la Música Catalana, i cui vertici in parte facevano transitare fondi neri al partito di Mas, e in parte si intascavano direttamente i fondi versati da enti pubblici e privati cittadini. Il giudice parla di «almeno» 6.6 milioni di euro finiti nelle casse di Cdc in cambio di appalti, e di ben 24 milioni rubati al Palau dai suoi vertici, condannati a vari anni di carcere (ma meno di quelli chiesti dall’accusa, perché hanno spiegato ai giudici il meccanismo di finanziamento in nero).
Questa mazzata che arriva a due giorni dalla costituzione del nuovo Parlament catalano, per quanto ampiamente prevista, indebolisce Puigdemont, soprattutto perché si unisce al documento redatto ieri dai legali della camera catalana che esprimono parere negativo all’investitura di un presidente che non sia fisicamente presente. Nello stesso documento, criticano l’interpretazione del giudice che aveva sorprendentemente deciso la settimana scorsa che i tre deputati in carcere, ancora non giudicati, non potevano partecipare alle sedute parlamentari: dicono i legali che non è vero che l’interpretazione del regolamento permetterebbe loro di delegare il voto, ma sostengono che sia possibile modificare questa norma prima della sessione in cui si voterà il futuro president. Armi nelle mani di Esquerra che (nonostante le apparenze) vede come fumo negli occhi l’investitura telematica di Puigdemont.
Intanto il primo scoglio sarà domani: in assenza dei tre deputati in carcere e dei 5 in Belgio, gli indipendentisti contano solo su 62 voti su 135, anche se la presidenza temporanea della camera, che dirime le questioni procedurali sul voto per la presidenza definitiva, è in mano a tre deputati di Esquerra. In queste condizioni, se tutti i deputati dell’opposizione votassero un presidente non indipendentista, lo potrebbero imporre. Ma poiché i Comuni hanno fatto già sapere che non voteranno Ciudadanos, a meno che non si mettano d’accordo per un presidente per esempio socialista, gli indipendentisti si assicureranno di nuovo la presidenza.
FONTE: Luca Tancredi Barone, IL MANIFESTO[1]
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