La Corte di Strasburgo ammette i ricorsi contro l’Italia dei sudanesi espulsi
Il governo italiano ha tempo fino al 30 marzo per spiegare le motivazioni che il 24 agosto del 2016 portarono all’espulsione forzata di 43 cittadini sudanesi dopo che questi erano stati fermati a Ventimiglia. A deciderlo è stata la Corte europea per i diritti dell’uomo (Cedu) che nei giorni scorsi ha dichiarato ammissibili i ricorsi presentati da cinque dei migranti rimpatriati. «I sudanesi furono vittime di un vero e proprio rimpatrio collettivo, del tutto illegittimo anche perché verso un Paese nel quale non è garantito il rispetto dei diritti umani fondamentali», ha spiegato ieri l’avvocato Salvatore Fachile dell’Asgi, l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione che insieme all’Arci segue l’azione giudiziaria.
La vicenda risale al periodo in cui la frontiera di Ventimiglia era affollata da diverse decine di migranti che speravano di entrare in Francia, e segue di poco la firma di un accordo per i rimpatri tra la polizia italiana e quella sudanese. Dopo il fermo i migranti furono sottoposti a un lungo ed estenuante viaggio in giro per l’Italia che li portò prima a Taranto e poi all’aeroporto di Torino per essere imbarcati su un aereo diretto a Khartoum. Sette di loro fecero però resistenza e per motivi di sicurezza vennero fatti scendere a terra dove riuscirono a presentare domanda di asilo e a vedersi riconosciuto lo status di rifugiato. Possibilità che invece, denuncia l’Asgi, «non venne offerta ai loro compagni».
Il capo della polizia Franco Gabrielli – che firmò l’accordo con i corrispettivo sudanese – ha sempre sostenuto come le procedure adottate rispettino quanto previsto dal diritto internazionale, affermazione che però non trova d’accordo gli avvocati che assistono i ricorrenti, convinti invece che oltre a essere stato violato l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che vieta trattamenti inumani e degradanti, ai migranti sia stato negato anche il diritto alla difesa e la possibilità di presentare domanda di asilo.
Secondo Sara Prestianni dell’Arci, l’accordo italiano è servito da modello per altri simili in Europa. Dopo l’Italia, infatti, anche Francia e Belgio hanno siglato intese analoghe con il Sudan. Proprio in questi giorni un caso come quello italiano rischia di provocare una crisi di governo in Belgio. Il ministro per l’Asilo e l’Immigrazione Theo Francken, appartenente ai nazionalisti fiamminghi del N-Va e autore di un accordo per i rimpatri con il Sudan, è finito nella bufera da quando un’organizzazione ha raccolto le testimonianze di alcuni dei sudanesi espulsi che hanno denunciato di aver subito torture una volta rientrati nel Paese.
Per il vicepresidente dell’Arci Filippo Miraglia a preoccupare è soprattutto la politica di esternalizzazione delle frontiere messa in atto dall’Italia e dall’Unione europea. «Si delega a Paesi spesso riconosciuti come non rispettosi dei diritti umani il compito di fermare i migranti», ha spiegato Miraglia. «Questa scelta rappresenta l’opposto di quanto dice il ministro degli Interni Marco Minniti e sta producendo solo più morti».
Un altro esempio di questa politica riguarda l’uso fatto dei finanziamenti inseriti nel Fondo Africa. Su questo l’Asgi ha presento un ricorso al Tar riguardante 2,5 milioni di euro impiegati per ammodernare alcune motovedette fornite alla Guardia costiera libica. «Ai giudici amministrativi abbiamo chiesto se i finanziamenti del Fondo, 200 milioni di euro destinati alla cooperazione, possono essere usati per il controllo delle frontiere», ha spiegato l’avvocato Giulia Crescini.
FONTE: Leo Lancari, IL MANIFESTO
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