Le assemblee comunitarie di Kobanê
LE DECISIONI SI PRENDONO TUTTE NELLE ASSEMBLEE COMUNITARIE
Rojin Mohammed Ali e Ibrahim Haj Khalil sono i co-sindaci della città di Kobanê.
Come previsto dal sistema di autonomia democratica vigente nella regione di Rojava per ogni incarico di direzione si eleggono due persone, un uomo e una donna.
Durante le lunghe e incerte giornate della battaglia, sia Rojin che Ibrahim sono rimasti in città.
Rojin è nata nel 1992 a Kobanê. Single, era studente di topografia e prima della guerra lavorava con organizzazioni civili come volontaria.
Ibrahim, single, è nato invece nel 1982 e si è laureato in ingegneria meccanica all’Università di Damasco e prima del conflitto lavorava nella Commissione per l’Energia Atomica siriana.
Con loro parliamo della ricostruzione della città e, a due voci, ci offrono i dettagli della lunga lista di bisogni e urgenze.
“Kobanê è adesso relativamente sicura rispetto ad altre zone della Siria, visto che ormai da vari mesi non si registrano attacchi nella nostra provincia”, dice Ibrahim Haj Khalil, aggiungendo che la ricostruzione ha raggiunto più o meno il 40%.
“Quello di cui più c’è bisogno qui in questo momento per poter essere autosufficienti – dice Rojin – è, per ordine di priorità: elettricità, acqua, un sistema di fognatura, strade, materiale per la costruzione, macchinari, conoscenza tecnica, appoggio materiale ed economico”.
Dopo la liberazione di Kobanê, a fine gennaio 2015, oltre il 70% della popolazione che era stata costretta ad abbandonare la città, è rientrata e ha cominciato a lavorare per ricostruire la urbe. Molto di quello che si è riusciti a fare fino a questo momento, commentano i co-sindaci, è stato grazie alla partecipazione dei cittadini che hanno fatto proprio il sistema di auto-governo e si sono messi al servizio della città e delle sue nuove istituzioni.
“La società, i cittadini – dice Ibrahim – condividono i problemi e le soluzioni nell’ambito di assemblee comunitarie. Queste assemblee sono lo spazio dove si prendono le decisioni”.
Se il sistema assembleario che descrive Ibrahim è una delle caratteristiche dell’esperienza che si sta sviluppando in tutto il Kurdistan siriano, l’altra è sicuramente il ruolo da protagonista e distaccato delle donne.
“Le donne – dice Rojin Mohammed Ali – rappresentano la metà della nostra società e sono rappresentate in questa proporzione nelle istituzioni dell’autonomia democratica”.
La conversazione si sposta verso le due aree di maggior preoccupazione nel complicato obiettivo della ricostruzione dell’umano, la salute e l’educazione.
“L’auto-governo lavora duro – sottolinea Ibrahim Haj Khalil – per poter istruire la società nelle rispettive lingue materne. Ci basiamo sulla letteratura scientifica internazionale perché le società democratiche sviluppate sono rappresentate dalla cultura e la scienza”.
La rivitalizzazione dell’economia locale, in tutta la regione, è un’altra delle grandi sfide attuali e il lavoro in questa direzione cerca di promuovere e insegnare una cultura di economia comunitaria, attraverso l’articolazione di un modello cooperativo sostenibile.
Le strutture educative sono state obiettivo speciale degli attaccanti dello Stato Islamico e il lavoro per recuperarle, anche se a volte solo in maniera provvisoria, è stato intenso. In queste strutture si insegnano contenuti basati sul riconoscimento del plurilinguismo e della ricca diversità culturale delle comunità.
“Il curriculum che adottiamo nelle nostre scuole è nuovo, è stato redatto dall’auto-governo e tiene in conto quello di cui parlavo prima: cultura, lingue e scienza. Gli studenti stanno già frequentando regolarmente la scuola – sottolinea Rojin – anche se mancano molte cose. Di fatto abbiamo bisogno di nuovi asilo e nuove scuole, perché le aule sono troppo affollate. Inoltre abbiamo bisogno di libri di testo, strumenti musicali e scientifici moderni, cose basilari come stampanti, computer e poi dobbiamo far partire a pieno ritmo l’istruzione universitaria”.
Per quel che riguarda la salute, la guerra ha lasciato la popolazione con molte carenze e necessità. “Nella provincia – afferma Ibrahim – manca quasi tutto. Mancano medicine e macchinari medici, manca personale medico e ausiliario ma soprattutto mancano gli ospedali. Pensate che i centri medici che stanno funzionando sono soprattutto ambulatori e abbiamo bisogno di più centri ospedalieri”.
La maggioranza della popolazione civile di Kobanê e del suo territorio limitrofo è stata costretta a fuggire e si è rifugiata spesso in Turchia, durante il violento assedio dell’ISIS.
Dopo la battaglia la stessa città e dintorni si sono trasformati a loro volta in zona di rifugio per le persone che fuggivano da altre aree di guerra. I profughi stanno vivendo in campi e nonostante gli sforzi delle istituzioni, le loro condizioni sono davvero dure.
“Abbiamo cercato di sistemare i profughi e rispondere ai loro bisogni basici. Ma ci mancano risorse e non siamo in grado di arrivare a tutti i campi. – dice Rojin – La situazione è drammatica nei campi e per noi è davvero angosciante”.
La stessa carenza di possibilità si riflette sul fatto che la municipalità non può appoggiare come vorrebbe le famiglie dei martiri caduti in guerra.
“Abbiamo poche risorse economiche – dice Ibrahim – e facciamo i salti mortali per cercare di distribuirli tra tutte le necessità. Alla fine la ricostruzione della città è la priorità attuale per la municipalità e questo significa che non possiamo dedicare alle famiglie dei nostri martiri l’aiuto che si meritano”:
La reiterazione del tema della carenza di risorse di fronte a tanti bisogni ci porta obbligatoriamente a una domanda: Dove sono gli aiuti internazionali promessi per la ricostruzione e la pace? Le parole dei nostri interlocutori sono dense di amarezza: “Durante e dopo l’eroica resistenza di Kobanê contro il terrorismo dello Stato Islamico c’è stato molto sostegno morale e mediatico da parte di tutti gli amici del popolo kurdo nel mondo. Purtroppo però dobbiamo dire che la comunità internazionale non ha mantenuto le promesse di aiutarci nella ricostruzione della nostra città”.
La maggioranza della popolazione civile di Kobanê e del suo territorio limitrofo è stata costretta a fuggire e si è rifugiata spesso in Turchia, durante il violento assedio dell’ISIS.
Dopo la battaglia la stessa città e i suoi dintorni si sono trasformati a loro volta in zona di rifugio per le persone che fuggivano da altre aree di guerra. I profughi stanno vivendo in campi e nonostante gli sforzi delle istituzioni, le loro condizioni sono davvero dure.
“Abbiamo cercato di sistemare come meglio potevamo i profughi e rispondere ai loro bisogni primari. Ma ci mancano risorse e non siamo in grado di arrivare a tutti i campi. – dice Rojin – La situazione è drammatica nei campi e per noi questo è davvero angosciante”.
La stessa carenza di possibilità si riflette sul fatto che la municipalità non può appoggiare come vorrebbe le famiglie dei martiri caduti in guerra.
“Abbiamo poche risorse economiche – dice Ibrahim – e facciamo i salti mortali per cercare di rispondere e soddisfare tutte le necessità. Alla fine la ricostruzione della città è la priorità attuale per la municipalità e questo significa che non possiamo dedicare alle famiglie dei nostri martiri l’aiuto che si meritano”.
La reiterazione del tema della carenza di risorse di fronte a tanti bisogni ci porta obbligatoriamente a una domanda: Dove sono gli aiuti internazionali promessi per la ricostruzione e la pace?
Le parole dei nostri interlocutori sono dense di amarezza: “Durante e dopo l’eroica resistenza di Kobanê contro il terrorismo dello Stato Islamico c’è stato molto sostegno morale e mediatico da parte di tutti gli amici del popolo kurdo nel mondo. Purtroppo però dobbiamo dire che la comunità internazionale non ha mantenuto le promesse di aiutarci nella ricostruzione della nostra città”.
QUI L’INTERO NUMERO DEL MAGAZINE GLOBAL RIGHTS #5 2017, SFOGLIABILE O SCARICABILE, IN ITALIANO, INGLESE, SPAGNOLO
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